Senza riserve di sé
Fratelli, sorelle,
la nostra Regola, almeno in un paio di passaggi, svolge un’esortazione utilizzando l’espressione “non fare riserve di te stesso”.
È così al paragrafo 10: “Non fare riserve di te stesso: per dare frutto il grano deve cadere nella terra, restare nascosto e poi morire”
e poi al paragrafo 26:
“È la comunità che per te esprime ordinariamente la volontà del Cristo nel chiederti l’obbedienza e nell’indicarti la via da percorrere. Così tu sei liberato dal soggettivismo che minaccia la tua vita secondo lo Spirito, e sei capace di una disponibilità totale che non ti permette di fare riserve di te stesso”.
Questa esortazione è importante: essa riguarda la modalità del nostro vivere. Riguarda la nostra vita comune, riguarda ciò che è centrale per noi, ovvero la vita che siamo chiamati a vivere senza farci distrarre e confondere o turbare da voci e rumori che hanno il solo compito di sottrarci a ciò che è essenziale: la vita. Ed è evidente che non fare riserve di sé in una vita comune, in cui si deve cercare il bene comune, tener presente gli altri in ogni nostro movimento e gesto e parola, a tavola come sul lavoro, nella liturgia come nelle assemblee, in ogni luogo e momento, è un atteggiamento fondamentale, che rende possibile la vita comune stessa. Mentre il contrario, il far riserve di sé, è oggettivamente un ostacolare la vita monastica opponendosi soprattutto a ciò che in essa è veramente centrale e faticoso e in certo senso sacramentale: la dimensione comunitaria.
Non a caso, la prima menzione del non fare riserve di sé si trova nel capitolo sulla probazione subito dopo aver parlato dell’accoglienza liturgica: si tratta di una dimensione di fondo, costitutiva della vocazione monastica, che deve essere sempre presente allo spirito di ogni monaco e di ogni monaca per crescere in essa. La seconda è nel capitolo sull’obbedienza e riguarda l’obbedienza alla comunità. La faticosa ma essenziale obbedienza alla comunità senza la quale non si dà vita monastica, non si dà costruzione comune.
Ma in cosa consiste questo fare riserve di sé? L’esperienza vissuta è lì ad indicarcelo. Si fa riserve di sé quando ci si scava nicchie di privilegio in comunità, quando ci si riserva delle zone di intoccabilità: ad alcune persone sembra impossibile perfino poter chiedere un servizio comunitario, quasi che godessero di una intoccabilità che viene loro da qualche relazione privilegiata. Fa riserve di sé chi si crea delle esenzioni di fatto da cose comunitarie; chi si sottrae a quei ritmi comunitari piegandosi ai quali la conversione può davvero divenire realtà. Fa riserve di sé chi nega la propria disponibilità adducendo scuse e giustificazioni. Fa riserve di sé chi crea relazioni specifiche ed escludenti. Fa riserve di sé chi non mette in comune ciò che guadagna con il suo lavoro o almeno una parte di esso, fossero pure somme non particolarmente significative. Fa riserve di sé chi non comunica le cose o le assenze che fa e che incidono sulla vita comune e sulla presenza in comunità e che dunque toccano anche gli altri.
Fare riserve di sé è, per usare parole del vangelo, voler salvare se stessi, gestire la propria vita in autonomia e senza tener conto degli altri. Mentre proprio questa è la fatica della conversione che ci viene chiesta dal momento in cui entriamo a far parte di una comunità, di una vita cenobitica. Fare riserve di sé è tentazione che si annida negli anfratti, nei dettagli, nelle cose che non diciamo, che nascondiamo, nelle zone grigie del quotidiano, nelle piccolezze a cui ci attacchiamo ma rivela
un male grande e che alla lunga può divenire una tela, una rete di comportamenti che è molto difficile correggere. Perché l’esenzione o il privilegio, per quanto minimo, che uno si è costruito nel tempo, arriva a essere sentito come un diritto e ad esso non vi rinuncerebbe mai. Fino al punto di preferire lasciare la vita monastica piuttosto che rinunciare a ciò che aveva. Un po’ come quel monaco di cui parla Cassiano che, dopo aver abbandonato tutto per seguire Gesù, si attacca a cose insignificanti come una penna o un libro. Il far riserve di sé è tentazione che distrugge, giorno dopo giorno, la vita comune riducendola a club di amici o a compagnia di singoli interessati al proprio particolare ma non più al bene e alla vita comune.
Perciò, fratelli e sorelle, siamo sobri e vigilanti perché il nostro Avversario, il Divisore, come leone ruggente si aggira cercando una preda da divorare. Resistiamogli saldi nella fede, attenti a fuggire la tentazione di fare riserve di noi stessi. E tu, Signore, abbi tanta pietà di noi.
fratel Luciano