La regola, il priore e la sinodalità
Nessuna comunità e nessuna persona possono realizzare ed esaurire tutte le esigenze dell’Evangelo. Solo la chiesa universale nella sua completezza storica può esprimere la totalità degli appelli contenuti in esso.
Ma avendo tu scelto di vivere la comunità e il celibato con dei fratelli di cui essere custode, tu non sarai sballottato a ogni soffio di vento, e con l’Evangelo terrai conto anche di essi: infatti sono per te la regola vivente. In essi parlerà Cristo ogni volta che tu dovrai riconoscere di non vedere chiaro, di non sapere come rispondere con gioia agli appelli dell’Evangelo.
Non dimenticarlo, Gesù è il tuo modello di obbedienza: egli “si è fatto obbediente fino alla morte”. Nella sua vita terrena egli ha soltanto obbedito dicendo sempre: “Non la mia ma la tua volontà sia fatta”. Così, per essere fratello o sorella in Cristo devi fare la volontà del Padre. È a Dio che si indirizza la tua obbedienza.
Questa obbedienza a Dio si manifesterà però anche in un’obbedienza concreta, visibile, alla comunità, cioè ai tuoi fratelli.
La comunità esprime la sua volontà, cui sei tenuto, nel consiglio. Certo non si può fissare la condizione assoluta in cui la comunità esprimendo la sua volontà riferisce la volontà del Signore. Non esistono condizioni preliminari, e nulla garantisce in modo assoluto che obbedire al consiglio sia automaticamente obbedire a Dio e all’Evangelo. Pertanto tu ascolterai, e obbedirai alle decisioni emerse con chiarezza nel consiglio della comunità, col concorso di tutti i fratelli che hanno cercato di discernere la volontà di Dio su di te e sulla comunità: concorso di tutti i fratelli con i loro rispettivi carismi che non solo edificano la comunità ma la progettano giorno per giorno.Presiedere all’unità significa semplicemente esercitare il carisma dell’unità nella comunità. Chi presiede nella comunità non deve dominare ma solo servire i fratelli. Per questo gli sono essenziali il carisma della saldezza e quello del discernimento. Saldezza per riconfermare i fratelli. Come Pietro, dunque, peccatore come lui, rinnegatore per tre volte di Cristo, egli si convertirà e confermerà i fratelli con la sua saldezza. L’altro carisma è quello del discernimento: con questo si edifica l’unità della comunità.
(Regola di Bose 3-4.26-27.29-30).
Dal 30 gennaio 2022 è stato eletto priore fr. Sabino Chialà.
La Regola di Bose non intende essere una legge, ma uno strumento di comunione, il luogo su cui ciascuno è chiamato a misurare la propria appartenenza alla comunità. Essa stessa ricorda che “l’Evangelo è la regola assoluta e suprema”, e ancora che “i tuoi fratelli e le tue sorelle sono per te la regola vivente”. Così anche l’obbedienza è intesa in senso radicale come obbedienza che si indirizza a Dio e che trova il suo sacramento nella sottomissione ai fratelli e a tutte le creature, e non è svilita in adeguamento giuridico a una “legge” né è limitata all’obbedienza alla persona di chi presiede. In verità, l’obbedienza al priore non è che un’occasione di obbedienza cristiana.
Il priore, colui che presiede in virtù dei carismi della saldezza e del discernimento, ha il compito di suscitare l’unità nella comunità. La sua qualità di compaginatore della koinonía, di “occhio della comunità”, e il suo compito di vigilanza sul cammino comunitario e di ciascun membro della comunità, lo assimilano alla figura del proestós o praepositus basiliano. La dinamica della vita comunitaria ha posto in rilievo altri aspetti del suo ministero: quello di guida spirituale, che spezza e interpreta la Parola per la comunità nelle varie congiunture in cui essa si viene a trovare, e quello di padre spirituale di ogni fratello o sorella professi, conformemente alla tradizione del monachesimo egiziano.
Accanto all’autorità del priore, la Regola di Bose ha previsto fin dall’inizio strumenti e strutture volti a favorire un cammino sinodale della comunità. Se con il mutare delle situazioni, in particolare con la crescita numerica e spirituale della comunità, sono cambiati anche gli strumenti atti a esercitare una corresponsabilità nell’orientamento e nella compaginazione della vita comunitaria, è tuttavia convinzione costante dei fratelli e delle sorelle di Bose che soltanto con il concorso di tutti e di ciascuno sia possibile una risposta piena e matura alle esigenze che l’Evangelo propone giorno dopo giorno alla comunità. Attualmente nella comunità esiste un discretorio, per le questioni la cui urgenza non renda possibile né opportuno convocare l’intera comunità; esistono inoltre il consiglio, formato dai fratelli e dalle sorelle che hanno fatto la professione monastica; il capitolo, al quale partecipano tutti coloro che sono stati accolti liturgicamente in comunità; e infine l’assemblea, alla quale partecipano quanti hanno ricevuto l’abito per la preghiera liturgica. L’abito, infatti, segna a Bose un primo riconoscimento comunitario al cammino di chi è da poco entrato in comunità, e viene dato solitamente all’inizio del noviziato.