Interiorizzare l’altro
Fratelli, sorelle,
un capitolo della nostra Regola riguarda l’ordine e la disciplina (RBo 32-34). Esso si sofferma su aspetti molto concreti del vivere quotidianamente la comunità. Possono sembrare dimensioni e aspetti meno significativi di altri più altisonanti, eppure anch’essi, anzi, proprio essi, nella loro piccolezza e quotidianità, sono capaci di inverare, di dare verità al vivere radicalmente l’evangelo, all’amare concretamente il fratello e la sorella, all’appartenere realmente alla comunità. Quelle indicazioni della Regola ci rinviano a quel poco in cui siamo chiamati a essere fedeli, come dice il vangelo secondo Matteo, che apre al ricevere autorità su molto. Essi infatti suppongono un dato decisivo e fondamentale per la vita comune: ovvero, il credere che l’altro esiste. Si tratta di un dato di fede di non minore importanza della fede in Dio. Si tratta cioè di tenere presente l’altro nel proprio agire, di lavorare, di partecipare alle liturgie, di mangiare insieme, sapendo, avendo coscienza che non sono solo, ma ci sono altri accanto a me.
In questo capitolo della Regola si insiste, per esempio, sull’evitare i ritardi alla preghiera comune. E il motivo è: per “non fare penare i tuoi fratelli e le sorelle con ritardi non scusati”. I nostri comportamenti, a cui magari accordiamo poca importanza, sono invece particolarmente disturbanti per altri. Il senso dell’altro, principio elementare del discernimento, deve saper comprendere le conseguenze che ha sugli altri ciò che facciamo e come lo facciamo. O ciò che non facciamo. Non è cosa impossibile questa, anzi, è la base elementare di un amore autentico dell’altro, ne è l’abc. Ed è al fondamento del principio di responsabilità. E si manifesta come rispetto, attenzione, presa in considerazione, discrezione. Mi porta a chiedermi: ciò che sto facendo turba il fratello, la sorella, li distrae dal lavoro? Ne aiuta o ne ostacola la preghiera liturgica?
Questa attenzione si manifesta come interiorizzazione dell’altro, come un sentire come lui sente e farlo nostro percependo ciò che gli dà fastidio o lo turba e ciò che gli dà gioia, pace, serenità. Anche la puntualità sul lavoro è raccomandata e questo per serietà verso il proprio lavoro ma anche e ancora per rispetto verso chi lavora con noi. Viene richiesto poi il silenzio, l’attenzione a non disturbare gli altri sul lavoro, ma possiamo estendere queste raccomandazioni così pratiche all’ambito del mangiare insieme, del conversare, del passare tempo insieme gratuitamente. Sempre occorre tenere conto degli altri.
Circa l’ordine, poi, cioè il tener conto che si vive non da soli, ma in una comunità, la Regola ricorda ancora che fanno parte il non perdere tempo, il non assentarsi dalla comunità senza avvertire chi presiede, il verificare in prima persona se le proprie assenze provocano problemi e disagi in comunità. La Regola si limita a indicare alcuni atteggiamenti e comportamenti su cui stare attenti, ma la vita vissuta ci porterebbe ad aggiungere una quantità di ulteriori esempi: l’uso degli attrezzi, la manutenzione degli spazi comuni, i servizi comunitari, il fare cucina, e così via. In tutti questi ambiti siamo chiamati a verificarci ed esaminarci su una domanda: quando agiamo, nel nostro quotidiano, teniamo presente la presenza degli altri? Crediamo che l’altro esista? Sappiamo di essere in una comunità? Non è domanda da poco. Come la prima lettera di Giovanni dice che l’amore di Dio è autentico solo se si amano le persone, i fratelli, le sorelle, così la fede in Dio è autentica solo se si crede che gli altri esistono e che di loro occorre tener conto nel nostro agire quotidiano.
Perciò, fratelli e sorelle, siamo sobri e vigilanti perché il nostro Avversario, il Divisore, come leone ruggente si aggira cercando una preda da divorare. Resistiamogli saldi nella fede sviluppando la sensibilità per l’altro che ci consente di divenire responsabili del nostro agire. E tu, Signore, abbi pietà di noi.
fratel Luciano