Liberi grazie all’obbedienza
Fratelli, sorelle,
fondamento imprescindibile della vita monastica è l’obbedienza. Obbedire è fare la volontà di un altro. E perché questa obbedienza sia liberante e non alienante, o mero segno di immaturità o di dipendenza, di incapacità di reggere la propria vita con soggettività, essa deve essere misurata sull’obbedienza di Cristo. Dice la nostra Regola:
“Gesù è il tuo modello di obbedienza … Per essere fratello o sorella in Cristo devi fare la volontà del Padre” (RBo 26).
L’obbedienza a Dio, ricorda poi più volte la Regola, passa attraverso l’obbedienza alla comunità. Ed è chiaro che qui nascono le difficoltà: è molto delicato l’equilibrio tra la necessaria responsabilità personale e l’adesione alle decisioni della comunità, tra soggettività personale vitale e benedetta e invece soggettivismo o individualismo o idioritmia che disgregano il tessuto comunitario; non è facile l’equilibrio tra sé e comunità, tra esigenze personali ed esigenze della comunità.
L’affermazione di fondo che dev’essere chiara per tutti è che solo chi è libero può veramente obbedire, oppure, possiamo dire che l’obbedienza autentica è sempre un atto di libertà: l’obbedienza cristiana infatti non è quella di uno schiavo. La Regola parla di obbedienza che, per essere liberante, dev’essere amorosa e fiduciosa (RBo 27), anche se dovesse applicarsi a decisioni o situazioni che non sono capite o che appaiono problematiche o che ci contraddicono e scomodano. C’è una dimensione scomodante dell’obbedienza che spesso suscita la nostra opposizione e la nostra ribellione. Ma è la dimensione scomodante della vita in quanto tale che ci chiede e anche impone cosa da fare, atteggiamenti da avere, tempo da impiegare, sforzi da mettere in atto che ci scomodano. Ma proprio lì si rivela il carattere liberante di questa obbedienza basilare alla vita. Ci libera dalla tentazione di voler avere tutto sotto controllo e dalla pretesa che tutto vada secondo i nostri ritmi e la nostra volontà o i nostri desideri. Qui la ribellione contro l’obbedienza è ribellione contro la vita e quel suo carattere urtante e resistente che ci dà una forma, ci plasma, ponendoci degli ostacoli. Solo quando ci scomoda l’obbedienza diviene veramente liberante, perché solo allora ci tocca nel profondo. Dice la Regola: “Se le decisioni della comunità per te sono insopportabili e dure, esperimentale per un po’ di tempo, poi nella pace rivolgiti al consiglio della comunità ed esponi con semplicità le tue difficoltà” (cf. RBo 27). C’è un carattere liberante, non schiavizzante, dell’obbedienza: “L’obbedienza libera le tue facoltà intellettuali per renderle docili allo Spirito”.
Sì, l’obbedienza può essere liberante. Sappiamo già dalla Scrittura che il comando che viene da Dio non è solo una parola imperativa, ma anche rivelativa: essa, mentre comanda, non dice solo “tu devi”, ma anche “tu puoi”. Il comando svela delle possibilità che il soggetto forse nemmeno è cosciente di avere. Così l’obbedienza libera delle risorse e delle potenzialità che aiutano la persona non solo a conoscersi più profondamente, ma anche a divenire maggiormente in pienezza se stessa, a essere maggiormente integra. Certo, l’obbedienza richiede una dimensione di fatica, di sforzo: richiede una vittoria sulla pigrizia, una morte a sé (dice ancora la Regola: “A volte ti parrà duro obbedire alla comunità, ma senza questa morte a te stesso come potresti dire di essere uno che segue Gesù con la croce ogni giorno?” RBo 26). L’obbedienza domanda una lotta contro la tentazione di essere autosufficienti e capaci di farcela da noi stessi, contro la chiusura in noi stessi: la non obbedienza rischia di rendere ancora più povero colui che dice “io non ho bisogno degli altri”. Rischia di non farlo crescere e maturare portandolo a chiudersi nell’angusto spazio della propria comodità. Non aprirsi all’obbedienza può divenire la maniera per restare ciò che si è, bloccati senza crescere.
Nell’obbedienza noi ascoltiamo e mettiamo in pratica. Nell’obbedienza agiamo basandoci sulla parola di un altro: del Signore, del vangelo. Senza di essa come diventerebbe possibile la vita di Cristo in noi? Ma concretamente vediamo che le diverse persone arrivano a darsi regimi e modalità di obbedienza assai diversificati: qui occorre ricordare che una comunità ha una serie di obbedienze fondamentali imprescindibili: la preghiera comune e la vita in cella, il lavoro e i servizi, i pasti in comune, la tensione verso una vita comune veramente fraterna. Ci sono ritmi e momenti da cui la Regola stessa ci ricorda che non ci si può astenere senza provocare vuoti e ferite nella comunità. Essere fedeli a questi e rendere conto delle proprie mancanze a queste obbedienze davanti alla comunità è richiesto proprio per onestà verso il corpo comunitario. Che è corpo di Cristo.
Perciò, fratelli e sorelle, siamo sobri e vigilanti perché il nostro Avversario, il Divisore, come leone ruggente si aggira cercando una preda da divorare. Resistiamogli saldi nella fede e disposti all’obbedienza amorosa e fiduciosa verso la vita comunitaria. E tu, Signore, abbi pietà di noi.
fratel Luciano