Ricominciare da Gesù
Fratelli, sorelle,
nel paragrafo 21 della nostra Regola, all’inizio del capitolo sulla povertà, noi siamo posti di fronte al procedimento metodologico consueto della Regola: viene espresso il riferimento fondante a Gesù, il fondamento cristologico, in questo caso della povertà, ma altrove dell’obbedienza, poi della preghiera, e così via, quindi vengono date esemplificazioni pratiche, per vivere noi ciò che ha vissuto Gesù: “Per seguire Cristo nella sua spogliazione” tu, dice la Regola, “metterai i tuoi beni e il guadagno del tuo lavoro in comune, osserverai un ritmo di spese adeguato alla vita semplice e povera della comunità, esprimerai la povertà nel modo di vestirti, comportarti, usare dei beni comuni” (cf. RBo 21).
Quel “vivere il vangelo”, quel “seguire Gesù”, quella “radicalità cristiana” che tutti vogliamo, per cui tutti abbiamo scelto di venire qui a Bose, viene esemplificato in atteggiamenti pratici, quotidiani, concreti, che sono ciò che rendono vero il nostro voler seguire Cristo. Lo istituzionalizzano, se così si può dire. Se proprio del monaco è ricominciare ogni giorno e dire sempre “oggi io ricomincio”, questo vale anche per una comunità e da dove si ricomincia, se non da questi due fondamenti: seguire Gesù con una prassi, con dei comportamenti, con dei passi precisi? Come il vangelo dice che ha fatto Gesù, così tu, assumi questi atteggiamenti, fai tuoi questi modi di relazionarti alle cose e agli altri, così riuscirai meglio nel lavoro di spogliarti di te per far vivere Cristo in te.
Circa la povertà, la Regola dice che ciò che viene consegnato alla comunità, per esempio i soldi che uno guadagna con il suo lavoro, “non sarà più tuo, ma di tutti”. Si tratta di uscire dallo spirito del possesso che ci porta a legarci al “mio” e a difenderlo. Noi ci siamo allontanati da questa radicalità e abbiamo fatto rinascere il “mio”, fosse pure per cose di poco conto. Il tempo che passa ci rende più accondiscendenti verso noi stessi, ci porta a crearci dei piccoli privilegi, delle nicchie, delle comodità da cui non vogliamo più staccarci. E così agiamo non solo non mettendo in comune, ma facendo le cose di nascosto, non dicendo, ricorrendo a sotterfugi pur di mantenere i nostri piccoli privilegi. Che si situano a tanti livelli, ma sempre contraddicono la povertà.
Si capisce perché, con molta intelligenza, la Regola, parlando del modo di vivere la povertà, parla anche dei comportamenti: “Esprimerai la povertà nel modo di comportarti” (RBo 21). Sì, la povertà non riguarda solo i rapporti con i soldi, i beni e le cose, ma anche con gli altri. La povertà, o il suo contrario, l’aver potere, emerge dal modo di relazionarsi, di parlare, di comportarsi. I comportamenti di chi si ritiene padrone dei propri ambiti, di chi ritiene di non dover render conto a nessuno, di chi usa le cose di altri senza tener conto degli altri: questi i comportamenti non poveri. I comportamenti padronali, prepotenti, arroganti, supponenti, offendono la povertà e feriscono la comunità creando divisioni. Ciò che si oppone alla povertà è il potere, il voler dominare. Se lo spirito di possesso si impossessa di noi e se lo spirito padronale si impadronisce di qualcuno, allora la divisione si insinua in comunità, perché i privilegi producono disuguaglianze, le disuguaglianze producono risentimento, il risentimento diviene rancore e rende inviso il fratello. Paolo denuncia questa situazione a Corinto quando dice che nelle riunioni fraterne, nelle agapi, uno ha fame, l’altro è ubriaco (cf. 1Cor 11,21). Perché le dinamiche comunitarie, anche inconsapevoli, se arrivano a instaurare privilegi, creano al contempo anche emarginazioni; se creano vicinanze, producono anche allontanamenti, distanze; se fanno preferenze, producono anche esclusioni.
Noi stiamo vivendo una situazione di povertà comunitaria, una crisi in cui rientrano l’invecchiamento di diversi, l’abbandono di alcuni, la stessa immagine comunitaria. Tutto questo ci sta mettendo alla prova. Da cosa e come ricominciare? Anzitutto dal riconoscere che non c’è situazione, per misera o penosa o di sofferenza che sia, che impedisca di per sé di vivere il vangelo. Quindi su ogni punto qualificante della nostra vita, che è una vita semplice ed essenziale, riprendere il fondamento evangelico e cristologico, e mettere in pratica ciò che ne consegue, come la nostra Regola lo indica. Vedremo diversi di questi punti essenziali che costituiscono l’ossatura della nostra vita, ma se si ricomincia a prendere sul serio anche uno solo di questi, come la povertà, e a metterlo in pratica concretamente, allora anche il resto verrà di conseguenza. Il futuro lo costruiamo nell’oggi, lo costruiamo con la paziente pratica nell’oggi delle semplici dimensioni della povertà, dell’obbedienza, della preghiera, …
Perciò, fratelli e sorelle siamo sobri e viglianti, perché il nostro Avversario, il Divisore, come leone ruggente, si aggira cercando una preda da divorare. Resistiamogli saldi nella fede e risoluti nel rifiutare la logica divisiva del possesso, del “mio”, e i comportamenti che feriscono la povertà. E tu, Signore, abbi pietà di noi.
fratel Luciano