La radicalità della comunione
Fratello, sorella,
nella nostra Regola si dice:
“la vita comune significa radicalità di comunione nei beni spirituali, in quelli materiali, nella vita, nelle attività, nelle speranze, affinché tu sia veramente un segno di amore fraterno” (RBo 12).
Si parla di “radicalità di comunione nei beni spirituali”. Questi non sono solo le liturgie o le lectio divine comunitarie, ma riguardano più in radice ciò che siamo e di cui viviamo. Ma che spesso in una vita comune non trova tempo e modo di esprimersi, di essere comunicato, di essere posto all’interno di una relazione, e dunque di essere messo in radicale comunione. Il bene spirituale non consiste anzitutto in cose o pratiche o riti, ma molto prima, in forme e modi relazionali e comunicativi. Consiste in una postura che la persona assume radicandola in sé. Questa radicalità di comunione è, nella sua essenza, molto semplice, seppure non facile. Richiede la capacità di dialogo con se stessi, di interrogarsi, di pensare, di riflettere; richiede poi il coraggio di esporsi, di dirsi, di esprimersi davanti agli altri; richiede la fatica dell’ascolto che non giudica, che non interrompe, che accoglie e fa spazio anche a ciò che è distante dal proprio parere; richiede poi la duttilità di chi non è rigidamente attaccato al proprio punto di vista e non se ne distacca mai, pregiudizialmente, ma anzi esamina e discerne ciò che nel parere diverso dell’altro è migliore del proprio e può essere da lui assunto. Avendo in vista non la propria opinione, ma il bene comune, non il proprio primeggiare e avere ragione, ma l’avanzare nella relazione.
Atteggiamento essenziale per cercare e attuare la radicalità della comunione sul piano spirituale è quello ricordato nella nostra Regola di “non fare riserve di se stessi” (RBo 10.26). E questo richiede quel fondamentale monastico che è l’obbedienza, l’unico che, per quanto ci contesti in profondità, e forse proprio grazie a questo, ci consente anche di liberarci dal soggettivismo e dalla tirannia del nostro psichismo, e di operare una conversione, un cambiamento appunto, radicale. Un cambiamento che ci fa uscire dal nostro punto di vista unico e univoco sulla realtà per assumere altri sguardi su di essa. Certo, questo non fare riserve di se stessi ha anche il prezzo di una morte a se stessi, unica via che può consentire la vita comunitaria cristiana, può permettere il nostro vivere come noi e non più solo come io. Dice la Regola: “Non fare riserve di te stesso: per dare frutto il grano deve cadere nella terra, restare nascosto e poi morire” (RBo 10).
Perciò, fratelli e sorelle, siamo sobri e vigilanti, perché il nostro Avversario, il divisore, come leone ruggente si aggira cercando una preda da divorare. Resistiamogli saldi nella fede impegnandoci a non fare riserve di noi stessi per cercare nell’obbedienza di costruire tra di noi una vera comunione nei beni spirituali. E tu, Signore, abbi pietà di noi.
fratel Luciano