Lettera agli amici - numero 12 - Paura e profezia
Pentecoste 1981
La lettera della Pentecoste 1981 si apre con un riferimento a “Giovanni Paolo II, colpito dalla violenza”. Il 13 maggio 1981 il papa veniva ferito in modo grave da colpi di pistola sparati in Piazza San Pietro da Ali Agca. La lettera interpreta l’atto di violenza contro Giovanni Paolo II come un momento che segnerà il resto del pontificato, sotto il segno della comunione tra il pontefice e tutte le vittime di violenza: “il vicario di Pietro è costretto a lasciarsi cingere e ad essere condotto dove lui non voleva”.
La violenza politica caratterizza la situazione internazionale, in diversi continenti: il Salvador (dove Romero era stato assassinato l’anno prima e la guerra civile continuava), il Sud Africa (attentati terroristici e violenze di stato del regime di apartheid; l’arresto di Desmond Tutu, a cui viene ritirato il passaporto), i Paesi dell’Est Europa (specialmente lo stato di emergenza in Polonia con la salita al potere del generale Wojciech Jaruzelski nel febbraio 1981; nello stesso mese si ha un tentativo di golpe del colonnello Tejero in Spagna). Ma anche la situazione italiana è segnata dalle tensioni: nell’estate 1980 (poco dopo la lettera della Pentecoste 1980) le stragi di Ustica e della stazione di Bologna; nell’ottobre 1980 la “marcia dei quarantamila” a Torino; nel marzo 1981 l’assoluzione in corte di assise d’appello per tutti gli imputati per la strage di Piazza Fontana; continuano gli attentati terroristici per mano delle Brigate Rosse e Prima Linea.
La lettera denuncia “questa nostra comunità ecclesiale d’Italia così indecisa tra testimonianza profetica e tentazioni di affermazione sociale, quindi politica”. Il giudizio scaturisce dal risultato dei referendum del 17 maggio 1981 in cui viene respinta l’abrogazione della legge sull’aborto – una campagna nella quale una parte dei cattolici si era mobilitata. Ma gli italiani si pronunciano in grande maggioranza anche a favore della possibilità di detenere armi da fuoco e contro l’abolizione della pena dell’ergastolo.
La denuncia dei sogni (delusi) di trionfalismo politico e della incapacità dei leader ecclesiali italiani di interpretare il tempo presente si accompagna nella lettera a un riferimento allo “sforzo di involuzione rispetto al concilio da parte di molte forze ecclesiali che raccolgono vertici e movimenti”, alla tentazione di creare nuove enclave sociali e politiche cattoliche. Pochi giorni prima, nel maggio 1981, la Conferenza episcopale italiana aveva pubblicato la “Nota pastorale sui criteri di ecclesialità dei gruppi, movimenti, associazioni”, un tentativo da parte dei vescovi di ancorare il fenomeno del movimentismo ecclesiale post-conciliare a un profondo senso di chiesa, ma anche a una nozione di obbedienza gerarchica.
Lettera agli Amici: Paura o Profezia
Cari amici, ospiti e voi che ci seguite da lontano, poiché la festa della Pentecoste è vicinissima, la nostra e la vostra invocazione dello Spirito santo si fa più intensa e tutti siamo impegnati a predisporci ancora una volta al-l'accoglienza del Dono tra i doni il cui frutto è gioia, pace, pazienza, benevolenza, bontà, fedeltà, mitezza, dominio di sé (Gal 5,22) nel pensare, nel parlare e nell'agire di noi credenti.
Nella preghiera, tesi al discernimento dei segni dei tempi, vi scriviamo questa lettera per mantenere vivo il dialogo con voi e per parlare con voi « delle cose del Padre ». Sì, diciamo delle cose del Padre, del Signore, perché ogni evento, ogni fatto, ogni tempo a Lui appartiene: gli appartiene la Chiesa nel suo cammino tortuoso e difficile, gli appartiene il vescovo di Roma, Giovanni Paolo colpito dalla violenza, gli appartiene questa nostra comunità ecclesiale d'Italia così indecisa tra testimonianza profetica e tentazioni di affermazione sociale, quindi politica.
Giovanni Paolo, il vicario di Pietro, nel suo voler stare in mezzo agli uomini disarmato, spoglio di ogni garanzia del potere, è stato colpito da quella violenza, da quel terrore che ogni giorno si abbatte sull'uomo, sul povero in Salvador, sul nero in Sud Africa, sul dissidente nei paesi dell'Est. La violenza ormai è epifanica e purtroppo si annida nel segreto di molte coscienze quotidiane che non pretendono di essere eroiche. Sembrava che la Chiesa fosse al riparo dal terrore dilagante nel mondo, protetta in quello spazio subalterno rispetto alla storia, che le veniva dalla perdita del suo potere sociale e politico e dalla sua non incisività nelle vicende dell'uomo. Invece il vescovo Romero viene martirizzato, molti preti e cristiani sono uccisi o riempiono le prigioni e il vicario di Pietro è costretto a lasciarsi cingere e ad essere condotto dove lui non voleva (cfr. 21,18).
Questo indica che la Chiesa non è stata tolta dal mondo, ma che davvero condivide « le tristezze e le angosce degli uomini di oggi, dei poveri soprattutto e di tutti coloro che soffrono ». Questo è il modo in cui si glorifica Dio (Gv 21,19), il modo in cui si segue il Signore quando non si è del mondo ma contro il mondo, senza crociate e senza integralismi, ci si urta in nome del Vangelo. E certo se il Papa e i vescovi e i cristiani rinunciassero davvero al trionfalismo, a stare tra i dominatori di questo mondo, questa glorificazione di Dio attraverso il sangue sarebbe ancora più autentica, più chiara e certamente meno rara. L'uomo di chiesa non è più un personaggio sacro, ma è un compagno dei suoi fratelli confessante il Signore del mondo, colui che abbassa i potenti e innalza gli umili, anzi, ne è il testimone per eccellenza. Nei primi secoli della Chiesa erano Ignazio di Antiochia e Policarpo a diventare vittime eucaristiche per la Chiesa tutta. Questi eventi sono dunque dei segni dei tempi. Giovanni Paolo d'ora in poi parlerà dell'uomo portando i segni della passione nel suo corpo e potrà come Paolo l'Apostolo vantare una credibilità del suo messaggio di pace e di fraternità. Per questo, come ogni cristiano dopo Stefano, egli non ha potuto far altro che perdonare e chiamare fratello chi lo aveva colpito. Ma noi come Chiesa dovremmo trarre una grave lezione: siamo e dobbiamo essere nel mondo, dobbiamo avere il coraggio della profezia e non la paura dell'Avversario, dobbiamo metterci alla tavola dei peccatori e degli ingiusti e non restare chiusi nell'isolamento spirituale di chi osserva e piange la storia. La misericordia non la si annuncia dall'alto, ma in mezzo ai malfattori, ai violenti, ai terroristi che non sanno quello che fanno.
E a noi, cari amici, pare emblematico che questo sia accaduto mentre la Chiesa italiana voleva coniugare la profezia con un successo elettorale di segno trionfalistico. Da papa Giovanni in poi la profezia tenta veramente di diventare un impegno ecclesiale non più riservato ad isolati profeti. Se oggi pare predominare la paura, se c'è nuovamente la tentazione del ghetto, se c'è una volontà di arrestare le attuazioni dello spirito conciliare, se vi è uno sforzo di involuzione rispetto al Concilio da parte di molte forze ecclesiali che raccolgono vertici e movimenti, è perché la profezia emerge con forza. E noi non vorremmo che si spegnesse, perciò gridiamo e preghiamo con Mosè: « Fossero tutti profeti nel popolo del Signore e volesse il Signore dare a loro il suo spirito! » (Num 11,29). Ma allora occorre ricordare alla Chiesa italiana che la profezia non è coniugabile con pretesi successi sociali. E poi basta leggere i risultati elettorali dei referendum! Che senso avrebbe avuto la vittoria del « Movimento per la vita » accanto all'86% degli italiani che vogliono possedere un'arma privata, accanto al 77% che vuole l'ergastolo, negando al condannato la possibilità di essere un nuovo uomo? Certo come cristiani dovremmo arrossire nel mettere tante energie nel difendere la vita del nascituro senza saper difendere e perdonare il condannato, senza chiedere la non-violenza e la non-difesa di fronte a qualsiasi nemico, senza impegnarci nel chiedere di allontanare da noi le terribili macchine da guerra che la logica del Principe di questo mondo vuole instaurare ovunque. No! La profezia è tale e può apparire tale quando è esigente, a caro prezzo, e non si serve delle logiche, delle forze massicce di pressione, delle grandi manovre politiche. Solo una Chiesa povera può essere profetica e la povertà non è solo spogliazione di beni e di ricchezze, ma anche umiltà nello stare tra gli uomini. Con l'arroganza, con l'ambiguità, con la parzialità del messaggio sulla vita si infanga la profezia cristiana.
Dobbiamo dunque riflettere e meditare. E guai a chi ora pensa che tutto sia risolvibile col potenziamento dei mezzi di comunicazione sociale cattolica: non vorremmo che i risultati del referendum avessero convinto quelli che lo hanno promosso solo della scarsità, della inadeguatezza dei mass-media in mano ai cristiani. Non si può demandare l'annuncio del Vangelo, la Vita cristiana a dei mezzi mondani concorrendo sullo stesso piano con le voci della cultura dominante.
Ora molti hanno paura, quasi scoprendo che la società italiana non sembra capace di ricezione dei valori cristiani e delle direttive ecclesiali. Ma noi ci chiediamo se i vertici della Chiesa sono capaci di interpretare i nuovi com-portamenti umani, se conoscono la realtà quotidiana, se sanno ascoltare e recepire i bisogni emergenti: questo non per una conversione al mondo, ma per un annuncio radicale del Vangelo nella mitezza, nella parresia, nella franchezza e soprattutto nella misericordia. Cari amici, chiediamo davvero in questa vigilia della Pentecoste lo spirito profetico per la Chiesa tutta, preghiamo e lavoriamo per predisporre tutto affinché questo dono sia elargito. Le nostre storie appariranno sempre di più non come nostre ma come « cose del Padre ».
I fratelli e le sorelle di Bose 3 giugno 1981
memoria di Giovanni XXIII papa
alla vigilia di Pentecoste
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