Per restare umani - Quaresima in tempo di guerra
9 aprile 2022
Osservatore Romano
di Sabino Chialà
Ogni tempo liturgico che ci è dato di vivere è un dono, un’opportunità per rimettersi in cammino, per ridare vigore ai nostri passi a volte esitanti, stanchi o delusi. Un dono che ci è offerto anche in questo tempo di guerra, patita non solo dagli abitanti dell’Ucraina, ma anche da tanti altri popoli della nostra Terra, impegnati in lotte più o meno dimenticate dall’opinione internazionale.
La Quaresima è un tempo per lottare, ma non come stiamo facendo. «La nostra lotta — dice infatti Paolo — non è contro la carne e il sangue, ma contro i Principati e le Potenze, contro i dominatori di questo mondo tenebroso, contro gli spiriti del male» (Ef 6,12). La Quaresima è il «momento favorevole» (cfr. 2Cor 6,2) per una battaglia che vorrebbe prepararci alla Pasqua, che è passaggio dalla morte alla vita e non il contrario, verso un’esistenza più rispettosa della dignità nostra, degli altri e del mondo che ci circonda. Un tempo che dovrebbe essere abitato da domande capaci di aiutarci a rinascere; di parole che scandagliano il cuore, per rivelarlo a noi stessi che pure lo ospitiamo spesso ignorando ciò che lo abita. È quanto suggerisce il passo del Deuteronomio dove Mosè giustifica il cammino del popolo d’Israele per quarant’anni nel deserto con queste parole: «Per umiliarti e metterti alla prova, per sapere quello che avevi nel cuore» (Dt 8,2). Nel testo ebraico non è chiaro chi sia il soggetto di quel “sapere”. Sembrerebbe Dio, ma egli conosce meglio di noi il nostro cuore. È dunque più probabile che quel verbo debba riferirsi all’uomo, bisognoso di prendere coscienza di quanto alberga nel suo cuore, perché da lì, come insegna anche Gesù (cfr. Mc 7,21-22), scaturiscono pensieri, sguardi e azioni.
Il cuore umano — che biblicamente parlando indica non solo la sede dei sentimenti ma anche la coscienza e la dimensione interiore dell’essere — è un grande contenitore di “parole potenti”, cui noi facciamo spazio in modo più o meno consapevole, lasciandocene determinare. Sono i loghismi della letteratura monastica, parole che si fanno pensieri e azioni, appunto. Parole da vagliare, per ingaggiare la vera lotta, che è da dirigere contro ciò che ci trascina al male.
Nella prima domenica di Quaresima abbiamo ascoltato il brano evangelico, quest’anno nella redazione lucana, dove Gesù è alle prese proprio con queste parole, riferitegli dal “diavolo” (cfr. Lc 4,1-13). Esse emergono seducenti e risolutive rispetto a necessità, desideri e bisogni, che appartengono costitutivamente all’essere umano, che hanno una loro legittimità, ma che si prestano facilmente a travisamenti e sfiguramenti. Gesù si confronta infatti con la necessità del cibo, con il desiderio di autorevolezza, con il bisogno di protezione. Ma ciò che è o potrebbe apparire legittimo — il diavolo infatti motiva le sue parole citando la Scrittura — si colloca su un crinale da cui è facile precipitare rovinosamente. La soddisfazione della fame infatti può indurre alla manomissione dell’ordine naturale (le pietre mutate in pane), l’autorevolezza può risolversi in potere abusante (quello promesso dal diavolo), e il bisogno di protezione in ricerca di spettacolarità e visibilità mondana (le prodezze che strabiliano). Gesù evita il pericolo misurando quelle parole con il metro delle Scritture, e così facendo indica anche a noi la strada. È questo il cammino di conversione che la Quaresima invita a percorrere: esporre i pensieri del proprio cuore alla luce delle Scritture.
Nella celebrazione della Pasqua, verso cui tende l’itinerario quaresimale, questo modo altro di abitare il proprio essere e i propri bisogni è iconicamente rappresentato dall’agire di Gesù. Da come egli affronta quei giorni intensi e convulsi che intercorrono tra il suo ingresso nella città santa, la domenica delle Palme (cfr. Lc 19,28-44), e il suo uscirne la sera del giorno di Pasqua, fattosi anonimo compagno dei due discepoli di Emmaus (cfr. Lc 24,13-35). Proprio lì Gesù, con l’agire più che con le parole, cercherà di mostrare il culmine della sua lotta, disegnando e poi percorrendo una sorta di via d’uscita che egli intravvede e con cui dilata lo spazio angusto dove le forze del male tentano di restringerlo per annientarlo. Egli inventa e indica quella dimensione altra dell’essere e del tempo, che sola è capace di riscattare la vita dall’appiattimento sui propri istinti che facilmente si trasforma in violenza contro gli altri. Donandosi nella mitezza, Gesù mostra non che la vita non ha senso, ma che essa possiede una dimensione ulteriore rispetto a quella che siamo soliti vedere: la dimensione dell’eternità, che non toglie nulla alla storia, ma la umanizza facendone intuire la sua dimensione nascosta, quell’altra parte della realtà che rende ai pensieri che abitano l’essere umano la possibilità di essere vissuti per il bene e non per il male.
Ma tutto questo che senso può avere e di che aiuto può essere nel tempo tragico che ci troviamo a vivere? Al termine di una Quaresima di guerra e alle porte di celebrazioni pasquali che si prospettano tristi e dolorose? Può ricordarci il punto dal quale possiamo ricominciare la nostra lotta per restare umani: dall’interrogare i pensieri che abitano il nostro cuore e dall’esporli alla luce delle Scritture. Le “nostre” guerre, piccole e grandi, fra individui come tra popoli, sono sempre l’esito da una mancanza di vigilanza sui pensieri che abitano il cuore di noi esseri umani, di aspirazioni che si trasformano in deliri.
La Quaresima e la Pasqua ci ricordano la necessità che abbiamo di porci sempre queste semplici domande senza mai stancarci, come singoli e come società: Da cosa ci lasciamo dominare? Quali desideri nutriamo nel cuore? E poi, ancora: In quali spazi riduciamo i nostri orizzonti? Siamo capaci di scorgere l’altra dimensione del tempo e della storia, indispensabile per disinnescare la potenza mortifera che si nasconde nei nostri pensieri?