Libro plurale e dialogico
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La Bibbia si presenta come un complesso di libri, una biblioteca che riunisce testi differenti. Il termine stesso “Bibbia” è traduzione italiana del neutro plurale greco tà biblía, “i libri”. La Bibbia è un libro di libri: quarantasei libri formano l’Antico Testamento e ventisette il Nuovo Testamento. La pluralità riguarda anche le lingue in cui sono composti i libri: l’ebraico per la maggior parte dei libri dell’AT; l’aramaico per alcune sue parti (Gen 31,47; Esd 4,8-6,18; 7,12-26;Ger 10,11; Dn 2,4-7,28); il greco per alcuni libri deuterocanonici (Sap; 2Mac) e per il NT. Siamo così rinviati ad almeno due alvei culturali diversi, quello semitico e quello ellenistico, con le relative differenze di mentalità. La pluralità si estende alle epoche di composizione dei libri biblici, alla loro storia a volte travagliata e complessa (la storia della redazione del libro dei Salmi, raccolta di centocinquanta canti d’Israele, è esemplare da questo punto di vista), ai generi letterari presenti nella Bibbia e, spesso, all’interno di uno stesso libro biblico. Ma si tratta anche di un libro dialogico perché inclusivo del cosiddetto at che era l’alveo al cui interno si muovevano gli scrittori neotestamentari per scrivere le loro opere. La Bibbia cristiana nasce dal dialogo ininterrotto, e che non può interrompersi, fra le pagine dell’AT e quelle del NT, fra le Scritture d’Israele che essa accoglie in sé e quelle neotestamentarie incentrate sulla novità evangelica. Novità illuminata dalle pagine dell’at, e senza peso storico e forza salvifica se scissa da esse. Il Credo afferma che Cristo è morto, è stato sepolto ed è risorto il terzo giorno “secondo le Scritture” (cf. 1Cor 15,3-4).
Libro umano, la Bibbia è anche libro che richiede un’interpretazione. La Bibbia vive nella e della sua interpretazione. È la Torà stessa (il nostro Pentateuco) che chiede di essere interpretata, come appare dalle parole che si trovano al suo centro. Secondo una tradizione contenuta nel Talmud, il centro delle parole dell’intera Torà è costituito dall’espressione ebraica daros darash (“cercare, cercò”; cioè, “fece intense ricerche”) che si trova in Levitico 10,16. Dice il passo del Talmud: “I primi sapienti erano chiamati “soferim” perché contavano (verbo safar) ogni lettera della Torà. Essi dicevano che … le parole darosh darash (Lv 10,16) segnano la metà delle parole della Torà”. Il verbo darash, “cercare”, viene qui assunto nel suo senso di “studio”, “sollecitazione”, “investigazione”, perfino “esegesi”. La Scrittura stessa richiede l’interpretazione.
L. Manicardi, Guida alla conoscenza della Bibbia, Qiqajon, Bose, 2009, pp. 10-12