#No #Salmo131
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Signore, il mio cuore non si esalta
i miei occhi non guardano troppo in alto
non vado in cerca di cose grandi
di grandi azioni al di là delle mie forze.
No, io raffreno il mio cuore
nella quiete e nel silenzio
come un bambino svezzato in braccio a sua madre
in me è tranquillo il mio cuore.
Attendi il Signore, Israele
da ora e per sempre!
Ciao amica,
Ciao amico,
oggi leggiamo, meditiamo e preghiamo un salmo brevissimo, che ci consegna una parola cruciale e fondamentale da pronunciare di tanto in tanto nel nostro cammino accidentato e mai finito per divenire sempre più umani: “No”. No non è solo il simbolo chimico del nobelio o la sigla della provincia di Novara e nemmeno solo quel prefisso contestativo e militante di tante battaglie di legittimi movimenti: no global, no tav, no vax… Siamo alla ricerca del no come parola audace che scaturisce da una mente che si interroga, da pupille che dilatandosi aprono nuovi orizzonti, da un cuore appassionato che batte e si dibatte nel consesso umano e mette al vaglio ogni cosa, discerne, delibera, sceglie sulla base di valori impressi nella propria coscienza. Come la nostra vita si dispiega in un acconsentire alla realtà e all’amore ed è costellata di sì da assumere quotidianamente prima ancora di pronunciarli solennemente, così è importante che dei no come buchi neri inghiottano le materie informi e deturpanti dei nostri pensieri cattivi: i poneroí loghismoí o semplicemente loghismoí secondo l’antica sapienza monastica, che sono spesso personificati come demoni che lottano contro l’essere umano, si annidano nel suo cuore, creano scompiglio, turbamento, un nebuloso e opaco disordine delle priorità e degli affetti fino a pervertire il discernimento del bene e del male, confondendoli in un’osmosi pericolosa e distruttiva. Nella misura in cui si acconsente a questi “spiriti del male”, essi si rafforzano, si accasano e si radicano sempre più nel nostro mondo interiore. Di tutti i pensieri cattivi che tradizionalmente, a partire da Evagrio Pontico, sono otto (ingordigia, fornicazione, avarizia, tristezza, ira, acedia, vanagloria e orgoglio), quello più temibile perché radice e causa di ogni male è l’amore di sé, la philautía, il non vedere nient’altro che il proprio ombelico.
Il salmista nel suo dialogo interiore con il Signore riconoscendosi piccolo e umile e dichiarando che il suo cuore non è arrogante, i suoi occhi non puntano troppo in alto, la sua prassi non ostenta azioni grandiose al di là delle sue forze, ha messo uno sbarramento all’impetuosa piena dei pensieri cattivi, ha posto un argine proprio alla philautía. Osa dire no alla sfrenatezza e alla sfrontatezza dei suoi pensieri, pone un freno al suo cuore, lo ha addomesticato fino a renderlo tranquillo, docile all’azione del Signore, perseverando nel ricordo e nella preghiera continua del Signore. Ha avuto il coraggio di dire no di fronte al male, che all’inizio si maschera di bene per avere una presa diretta su di noi, ma che poi diventa come un fuoco che una volta innescato divampa funestamente in ogni direzione.
“Fuggi, taci, vivi nella quiete!”: è ancora un adagio della tradizione monastica, che oggi ci fa sorridere per il suo rigido radicalismo e per la sua apparente intransigenza, ma che richiama in realtà non tanto il vivere separati dal mondo in fantomatici iperurani creati a nostra immagine e somiglianza, quanto la necessità di trovare dentro di noi spazi inviolabili di silenzio, in cui guardarsi con tenerezza, fuggendo il clamore delle voci giudicanti delle altre persone, per riscoprire nella quiete, nell’esichía, la verità di ciò che siamo, il prodigio impastato nel nostro corpo, l’amore che il Signore ci regala ogni istante. La verità è che c’è un Dio che ha cura e sollecitudine nei riguardi di noi sue creature come una mamma che accoglie, nutre e si prende cura del suo bambino e lo avvolge tra le sue braccia amorevoli. Saper dire no allora non è una raccapricciante repressione di quello che ci abita dentro, non è un diniego aberrante delle nostre aspirazioni e dei nostri desideri, ma un’accoglienza onesta di tutti quegli ospiti inquietanti che bussano alla porta del nostro cuore a cui però non permettiamo di svaligiarci la casa. Non occorre forse scacciarli immediatamente o fuggire mille miglia lontani credendo che in un altrove non verranno a cercarci. Occorre semplicemente esercitare la nostra libertà, sorridere e dar loro il benvenuto, ascoltare persino il fascino dei loro richiami suadenti ma saper dire no se il loro fine è aggressivo, violento, contro o se si rivelano banalmente effimeri, inconsistenti o generatori di tristezza e tedio.
Lo scrittore Mario Rigoni Stern, in una testimonianza che ripercorre la sua prigionia durante la seconda guerra mondiale, dice: “È molto più difficile dire no che sì. Anche voi ragazzi imparate a dire no alle lusinghe che vi sono intorno, imparate a dire no a chi vi vuol far credere che la vita sia facile, imparate a dire no a chi vi vuole proporre delle cose che sono contro la vostra coscienza, seguite solo la vostra voce. È molto più difficile dire no che sì”.