Comunità come luogo di rivelazione dei limiti personali
Quando i rapporti sono ravvicinati, quando si trascorrono alcuni giorni insieme a tempo pieno, quando i rapporti diventano stabili, forse addirittura quotidiani, allora ci si rende conto di quanto si è incapaci di amare, di quanto si rifiutino gli altri, di quanto si è chiusi su di sé. E se si è incapaci di amare, che resta di buono? Non c’è più che disperazione, angoscia e bisogno di distruggere. Allora l’amore sembra un’illusione.
La vita comunitaria è la rivelazione penosa dei limiti, delle debolezze, delle tenebre di ogni essere; è la rivelazione, spesso inattesa, dei mostri nascosti dentro di noi. È difficile accettare questa rivelazione. Si cerca di allontanare rapidamente questi mostri, o di nasconderli di nuovo, di illudersi che non esistano; oppure si fuggono la vita comunitaria e le relazioni con gli altri; o ancora si pretende che quei mostri siano negli altri e non in noi. I colpevoli sono sempre e solo gli altri ...
Ma la ferita che tutti portiamo in noi e che cerchiamo di non vedere e di fuggire, può diventare il luogo dell’incontro con Dio e con i nostri fratelli e sorelle; può diventare il luogo in cui impariamo ad amare, ad avere compassione degli altri (Jean Vanier, La comunità: luogo del perdono e della festa, Jaca Book, Milano 2000, pp. 44-45.47).
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