Libertà di amare
“‘Devo rimanere ancora con il mio fratello anche se so che sto rovinando me stesso stando con lui?’ Continuo a ripensare a queste parole rivolte da quel giovane monaco all’abba. Ma vi sembra possibile?”.
“Che cosa?”
“È esattamente quello che anch’io sto vivendo: fino a quando continuare ad amare una persona di fronte a parole e gesti che non portano positività nella mia vita…” – risponde la ragazza, arrossendo e spegnendo progressivamente la voce.
“E ti stupisce?! Il cuore umano è sempre lo stesso, amica mia – interviene un terzo, con tono saccente – poco importa se tu vivi in Italia e lui in questo deserto, tu nel XXI secolo, lui nel IV”.
“Infatti la risposta dell’anziano l’ho sentita come rivolta a me. Solo che non l’ho capita! ‘Rimani con lui, se vuoi.’ ‘Rimani, se vuoi’. Non mi sembra di grande aiuto”.
“Tu non conosci abba Poemen! Non sai che è celebre per i suoi inviti a valutare di volta in volta ciò che è meglio? Si racconta che a un fratello che gli chiese ‘che cosa devo fare?’ abbia risposto: ‘Va’, avvicinati a colui che dice: Che cosa voglio? e troverai quiete’. È un mago del discernimento! Il suo è certamente un invito a imparare a conoscerci e capire che cosa davvero desideriamo, per trovarvi pace”.
“È per questo che ormai da diversi giorni siamo accampati vicino alla sua cella – riprende il primo – e non abbiamo optato per una visita lampo come nelle puntate precedenti: i consigli di questo abba in genere si prolungano nel tempo, dischiudono il loro insegnamento solo al termine della dinamica che hanno innescato”.
“Se lo dite voi! Io quando quel monaco è tornato una seconda volta ripetendo la stessa domanda e Poemen gli ha risposto con un semplice, lungo silenzio ci ho capito meno di prima”.
Siamo nel deserto di Scete, porta d’ingresso dello sconfinato Sahara e cuore pulsante del monachesimo egiziano, di oggi e di ieri. Oggi vi sorgono enormi monasteri copti, tra cui quello di San Macario, rifondato nel secolo scorso da quel grande uomo di spirito che fu Matta el-Meskin. Tutto però ebbe inizio 17 secoli fa, quando abba Antonio e i suoi imitatori trasformarono questa piatta desolazione in una curiosa città. È una metropoli fatta di tante casupole scrupolosamente costruite l’una oltre l’orizzonte dell’altra, cosicché il solitario che ci vive, guardando dalla sua finestrella, non vede altro che sabbia e cielo, a perdita d’occhio, come fosse l’unico abitante del cuore del mondo. Eppure, tra una cella e l’altra passano invisibili sentieri di preghiera, sotterranee metropolitane di amicizia, trafficatissime autostrade di esperienza condivisa. E di tanto in tanto un monaco si mette fisicamente in cammino, attraversando i chilometri che separano la sua cella da quella di un anziano, solo per chiedere un sapiente consiglio.
Ma torniamo a noi, perché quel giovane tormentato sta tornando proprio ora dal saggio Poemen per la terza volta. Bussa ancora alla porta dell’anziano e subito l’abba esce, come se lo aspettasse da tempo. “Davvero non ci resto più!” – esclama il giovane.
“Era ora” – risponde l’anziano con pacata convinzione – “ora sei salvo. Va’ e non restare più con lui”. E dopo una breve pausa di silenzio aggiunge: “Un uomo che vede il danno che subisce non ha bisogno di interrogare. Le domande, la riflessione, il consiglio di persone più esperte di te servono per discernere i pensieri che ti abitano ancora in modo occulto e confuso; quando invece avverti già con chiarezza una sofferenza interiore non importa domandare, bisogna troncare subito”.
I due ragazzi restano attoniti di fronte alla scena, mentre la giovane si lascia sfuggire un’amara risata: “L’abba vi ha fregati, cari miei! Evidentemente, non avevate capito granché nemmeno voi: non invitava il giovane eremita ad esitare per fare chiarezza nei suoi pensieri, ma a non esitare per eccesso di chiarezza!”.
“Cioè?!”.
“Ci sono occasioni in cui non sappiamo cosa sia meglio per noi e abbiamo bisogno di tempo per chiarirci le idee; altre volte invece sappiamo benissimo cosa dovremmo fare, ma non ne abbiamo il coraggio. Così temporeggiamo, sperando che quella convinzione sfumi. Ma non succede così! Con il tempo la situazione si complica e basta, finché all’azione a cui non ci ha condotti il coraggio arriviamo per esasperazione”.
“Si sente che parli per esperienza…”.
“E ora capisco davvero: quel ‘rimani, se vuoi’ era un ‘rimani, se proprio lo vuoi. Solo la tua infondata volontà può spingerti a rimanere quando tutto in te ti chiede il contrario’”.
“E il silenzio della seconda volta?”.
“Scommetto che il giovane eremita sperava di ricevere un perentorio ‘vattene da lui’. Invece no: ‘Non sperare che sia io a dirtelo – gli ha risposto tacitamente l’anziano – se non sarai tu a convincertene ci ricascherai. Ovunque tu vada, ti porterai dietro la stessa schiavitù”.
Abba Poemen si volta, fa per rientrare in casa, spinge la porta con la mano ossuta e volta leggermente il capo verso di noi. Guarda la ragazza con delicatezza e scandisce in tono pacato: “Non si tratta di smettere di amare perché l’amore ci è comandato sempre e verso tutti, ma di non attaccare il cuore a uno di cui il tuo cuore non si fida”1.
Sparisce al di là dell’uscio e il deserto si dissolve alle sue spalle riportandoci alla nostra realtà.
Le parole di abba Poemen sono tratte da Detti dei Padri, Poemen 143, 189 e 80