Una guarigione a caro prezzo
31 gennaio 2021
Mc 1,21-28
IV Domenica nell’anno
di Luciano Manicardi
In quel tempo, 21a Cafàrnao Gesù, entrato di sabato nella sinagoga, insegnava. 22Ed erano stupiti del suo insegnamento: egli infatti insegnava loro come uno che ha autorità, e non come gli scribi. 23Ed ecco, nella loro sinagoga vi era un uomo posseduto da uno spirito impuro e cominciò a gridare, 24dicendo: «Che vuoi da noi, Gesù Nazareno? Sei venuto a rovinarci? Io so chi tu sei: il santo di Dio!». 25E Gesù gli ordinò severamente: «Taci! Esci da lui!». 26E lo spirito impuro, straziandolo e gridando forte, uscì da lui. 27Tutti furono presi da timore, tanto che si chiedevano a vicenda: «Che è mai questo? Un insegnamento nuovo, dato con autorità. Comanda persino agli spiriti impuri e gli obbediscono!». 28La sua fama si diffuse subito dovunque, in tutta la regione della Galilea.
Il brano evangelico di questa domenica presenta il primo “gesto di potenza” attuato da Gesù nel vangelo secondo Marco. Si tratta di un esorcismo, della guarigione di un uomo alienato, “posseduto da uno spirito impuro” (Mc 1,23). Dopo aver presentato la potenza della parola di Gesù che chiama a seguirlo due coppie di fratelli (Mc 1,16-20), ora Marco presenta la potenza terapeutica dei gesti di Gesù. Tutto questo illustra narrativamente l’affermazione di Gesù che inaugura la sua predicazione: “Il Regno di Dio è vicino” (Mc 1,15). Il Regno di Dio si è fatto vicinissimo alla terra dell’uomo nella persona di Gesù: alcuni uomini, abbandonando tutto per seguirlo, hanno riconosciuto l’urgenza dell’ora facendosi testimoni della vicinanza del Regno. Nel nostro testo evangelico tale vicinanza è narrata dalla guarigione di un uomo posseduto. Guarigione che avviene nella sinagoga di Cafarnao in giorno di sabato: “Se io scaccio i demoni con il dito di Dio, è dunque giunto a voi il Regno di Dio” (Lc 11,20).
Avendo personalmente conosciuto e scardinato i meccanismi della tentazione nella vittoriosa lotta con Satana nella solitudine del deserto (Mc 1,12-13), ora Gesù può combattere e vincere il male dell’uomo, il male che intacca l’integrità psicofisica della persona, il male del mondo. E ciò che colpisce, se si colloca il nostro testo evangelico nel contesto culturale di allora che conosceva un complesso fiorire delle speculazioni sul “demoniaco” e una moltitudine e gerarchizzazione di demoni e spiriti malvagi, è che Gesù non ha mai mostrato alcun interesse teoretico di fronte al demoniaco, quasi costituisse un mondo a sé. A Gesù non interessa il mondo del male ma il male del mondo.
In questo senso è interessante osservare la struttura letteraria della nostra pericope evangelica in quanto riveste un significato teologico e simbolico rilevante. In Mc 1,21-28 è visibile un processo di progressivo restringimento a cui segue una dilatazione altrettanto progressiva. All’interno dell’unità letteraria costituita da Mc 1,21-34, una giornata di sabato a Cafarnao, unità aperta da un esorcismo e chiusa da un sommario che sottolinea le cacciate di molti demoni a cui Gesù proibiva di parlare (Mc 1,34), viene descritto il movimento di restringimento che porta Gesù anzitutto a Cafarnao, quindi nella sinagoga (v. 21), poi al gruppo di uomini colà presenti (v. 22) e tra di loro a un uomo preciso e finalmente allo spirito impuro che lo abita (vv. 23-24) e che Gesù raggiunge con la sua parola efficace. Matteo scriverà che Gesù “scacciava i demoni con la parola” (Mt 8,16). Raggiunta e sanata l’interiorità turbata e sconvolta dell’uomo alienato, ecco che inizia un processo inverso di dilatazione che dallo spirito impuro va all’uomo da cui esce (v. 26), quindi al gruppo di uomini presenti in sinagoga (v. 27) e infine a tutta la Galilea, “dovunque” (v. 28). Il racconto ha una valenza simbolica: ciò che si manifesta nella sinagoga di Cafarnao è destinato a diffondersi in tutta la Galilea che, dopo la Pasqua, diventerà il luogo della missione universale; è destinato perciò a verificarsi “in tutto il mondo” (Mc 14,9; 16,15), ovunque sarà predicato il vangelo che è destinato a “tutta la creazione” (Mc 16,15). Così Marco, mentre rivela che la venuta del Figlio di Dio tra gli uomini diventa subito una discesa negli inferi che sono sulla terra, una katabasi nelle profondità irredente di ciascun uomo, nel suo cuore abitato da demoni e fantasmi, mostra anche il carattere universale di ogni atto esorcistico compiuto da Gesù.
Gesù entra di sabato in sinagoga e si mette a insegnare. Per la prima volta nel suo vangelo, Marco sottolinea l’attività didattica di Gesù. Per tre volte nella nostra pericope si trova il lessico dell’insegnamento (vv. 21.22.27). Si tratta di un tema ricorrente nel primo vangelo, nonostante sia caratterizzato dalla scarsità di discorsi di Gesù. Il più delle volte non viene specificato il contenuto dell’insegnamento di Gesù che pure è una sua attività frequente: Mc 1,21; 2,13; 6,2; 6,6; 6,34; 10,1; 14,49. Dove si trovano precisazioni sul contenuto del suo insegnamento queste riguardano le parabole (4,1-2), la passione, morte e resurrezione di Gesù (8,31; 9,31), il Tempio (11,17-18), il Messia (12,35). Ovvero, al cuore del suo insegnamento vi è sempre il mistero della sua persona. Quando Marco scrive che Gesù insegna “la via di Dio” (12,24) questa via, nel vangelo secondo Marco è il cammino che Gesù compie, un cammino geografico con un significato teologico ed escatologico. E rivelativa della persona di Gesù è la sua autorità, la sua exousía. Che non a caso è particolarmente sottolineata nel nostro brano evangelico. Il suo insegnamento suscita stupore perché è autorevole (v. 22), “non come gli scribi”. Il sensus fidei della gente intuisce la diversa qualità dell’insegnamento di Gesù rispetto a quello degli scribi: non si tratta di un sapere libresco, né di un sapere ricevuto da un maestro e mediatore terreno, ma direttamente da Dio. La sua autorità non riguarda poi solo la parola ma anche i suoi gesti. La reazione degli astanti nella sinagoga che definiscono la guarigione dell’uomo posseduto come “insegnamento nuovo con autorità” (v. 27) mostra che Gesù insegna anche con i gesti, con gli atti di cura e che la sua autorità riguarda la sua stessa persona. Da subito, fin dall’inizio del suo ministero pubblico, Gesù manifesta la sua autorità che in definitiva è l’autorità connessa alla novità (“insegnamento nuovo”: Gesù stesso è l’insegnamento) della sua persona. Siamo di fronte alla novità messianica, la novità di Gesù che “portò ogni novità portando se stesso” (Ireneo di Lione, Contro le eresie IV,34,1). L’autorità di Gesù è anche nel suo essere totalmente finalizzata alla vita e al bene delle persone: non è autorità che accresce chi la pronuncia, ma volta a far crescere l’altro; è autorità di servizio, non di potere. La logica dell’autorità che discende dal Dio biblico è bene espressa dal Sal 18(17),36: “Abbassandoti tu mi fai grande”. Questa la logica che presiede anche il cammino di Dio verso l’umanità nel Figlio Gesù Cristo. Questa è la “via di Dio” che Gesù insegna vivendo.
Al cuore del testo evangelico vi è l’incontro di Gesù con un uomo “posseduto da spirito immondo”. Ovvero, un uomo sofferente di disturbi psichici o afflitto da mali che si manifestavano in modo bizzarro, violento, anomalo, e per questo attribuiti a spiriti maligni. In realtà, il male che affligge quell’uomo (che frequentava regolarmente la sinagoga, il luogo santo), ha anche una valenza spirituale. Che si manifesta nel suo conoscere perfettamente Gesù, nel confessarlo in modo corretto e ortodosso (“Io so chi tu sei: il santo di Dio”: Mc 1,24; cf. anche Gv 6,69: “Tu sei il santo di Dio), ma nel non voler aver praticamente nulla a che fare con lui (“Che c’entri con noi?”: Mc 1,24). La diabolicità dell’atteggiamento è lì: si confessa rettamente la fede, ma non ci si coinvolge nella sequela di Cristo fino alla fine. Il vangelo secondo Marco insegna che la confessione autentica di fede deve avvenire sotto la croce (cf. Mc 15,39), è cioè inscindibile da un concreto cammino di sequela fino alla fine, fino allo scandalo della croce.
L’episodio mostra anche la sofferenza che la guarigione costa a quell’uomo: “straziandolo e gridando forte, lo spirito uscì da lui” (Mc 1,26). La parola di Gesù guarisce, ma facendo emergere il male, svelandolo, e consentendone così l’espulsione dal profondo: quel male a lungo soffocato per non soffrire, ora viene portato alla luce e questi spasmi dolorosi si situano a metà tra la morte e la nascita. La parola di Gesù non è edulcorata: essa fa anche male, essa non seppellisce il male, ma osa farlo emergere e affrontarlo apertamente. La parola di Gesù è dunque autorevole perché liberatrice: restituisce l’uomo a se stesso liberandolo dalla divisione che lo lacera e dai fantasmi che lo tormentano; è parola autorevole perché sacramentale: in essa si manifesta la potenza di Dio (v. 27; nell’Antico Testamento è Dio stesso che rimprovera, zittisce e vince Satana: cf. Zc 3,2); è parola autorevole perché testimoniale (essa rivela l’unità profonda della persona di Gesù, del suo parlare e del suo agire).
Quanto detto ci suggerisce l’importanza dei racconti di esorcismo. Che tra l’altro sono piuttosto frequenti nel vangelo secondo Marco (Mc 1,21-28; 5,1-20; 7,24-30; 9,14-29), anche
tenendo conto della brevità di questo vangelo. Si tratta di leggerli con prudenza e discernimento, ma certo non li si deve “esorcizzare” giudicandoli leggende miracolistiche o episodi folkloristici lontani dalla nostra sensibilità, insomma dei relitti del passato o delle narrazioni che non ci riguardano e che non hanno la capacità di parlarci. Se spiritualmente l’impurità (cf. la triplice ripetizione del temine “spirito impuro”: Mc 1,23.26.27) è divisione interiore, doppiezza, non consequenzialità tra confessione di fede e coinvolgimento reale con Gesù nel cammino verso la croce, allora il testo interpella la nostra vita e la nostra prassi di fede e ci ricorda che la vocazione cristiana ci incammina in un itinerario di unificazione della nostra persona davanti a Dio, agli altri e a noi stessi.