“Alzatevi e non abbiate paura!”
6 agosto 2020
Omelia per la Solennità della Trasfigurazione del Signore
di Luciano Manicardi
Dal Vangelo secondo Matteo - Mt 17,1-9 (Lezionario di Bose)
In quel tempo 1Gesù prese con sé Pietro, Giacomo e Giovanni suo fratello e li condusse in disparte, su un alto monte. 2E fu trasfigurato davanti a loro: il suo volto brillò come il sole e le sue vesti divennero candide come la luce. 3Ed ecco, apparvero loro Mosè ed Elia, che conversavano con lui. 4Prendendo la parola, Pietro disse a Gesù: «Signore, è bello per noi essere qui! Se vuoi, farò qui tre capanne, una per te, una per Mosè e una per Elia». 5Egli stava ancora parlando, quando una nube luminosa li coprì con la sua ombra. Ed ecco una voce dalla nube che diceva: «Questi è il Figlio mio, l'amato: in lui ho posto il mio compiacimento. Ascoltatelo». 6All'udire ciò, i discepoli caddero con la faccia a terra e furono presi da grande timore. 7Ma Gesù si avvicinò, li toccò e disse: «Alzatevi e non temete». 8Alzando gli occhi non videro nessuno, se non Gesù solo.
9Mentre scendevano dal monte, Gesù ordinò loro: «Non parlate a nessuno di questa visione, prima che il Figlio dell'uomo non sia risorto dai morti».
“Alzatevi e non temete”, “Risollevatevi e non abbiate paura”. Queste le uniche parole che Gesù, sul monte della Trasfigurazione, rivolge ai suoi discepoli. Queste le uniche parole di Gesù al cuore dell’evento della Trasfigurazione. Solo Matteo riporta queste parole di Gesù assenti tanto da Marco che da Luca. Queste parole raggiungono anche noi oggi, qui e ora, la nostra assemblea, la nostra comunità, le nostre storie. Le parole di Gesù vanno incontro alla caduta e al timore dei tre discepoli che si trovano immersi e smarriti in una nube che si rivelerà luminosa, una nube non di tenebra e di assenza, ma anzi di luce e di presenza, ma che si rivelerà tale solo grazie all’ascolto della parola di Gesù. E questa è la parola decisiva: “Alzatevi e non temete”.
Ma ascoltiamo ancora una volta il racconto evangelico della Trasfigurazione, quest’anno nella redazione del Vangelo secondo Matteo, racconto che ci conduce all’essenziale della fede e della nostra stessa vita monastica, al suo fondamento irrinunciabile e che solo può dare saldezza, senso e perseveranza a tale vita.
“Sei giorni dopo”: così inizia il nostro testo e questa nota ha due significati. All’interno della narrazione di Matteo, lega l’evento della cristofania, in cui Gesù, sul monte Tabor, risplende della luminosità di Dio stesso, alle parole pronunciate da Gesù circa la sua prossima passione e morte, come pure alla necessità per i suoi discepoli di rinnegare se stessi e prendere la croce per seguirlo (Mt 16,21-28). Ma questo legame con eventi oscuri, bui e dolorosi tanto per Gesù quanto per i suoi discepoli, eventi che parlano di sofferenza e di morte, è riletto a partire dalla teofania sinaitica, da cui riceve un senso e una luce nuovi, luce e senso celati, non immediatamente percepibili, ma autentici, reali, e vivificanti. Sono sei i giorni in cui la nube coprì il monte Sinai e il settimo giorno il Signore chiamò Mosè, che era salito sul monte, dalla nube (Es 24,16). Se il volto di Mosè divenne raggiante e luminoso perché aveva conversato con Dio (Es 34,29), Matteo sottolinea che è il volto di Gesù che diviene risplendente come il sole. Quel Gesù che conversa con Mosè ed Elia, i rappresentanti della parola di Dio che si esprime nella Legge e nella Profezia. In filigrana, il racconto della Trasfigurazione lascia trasparire le pagine della Scrittura che parlano dell’intimità di Mosè con Dio sul monte Sinai. Matteo ci suggerisce che l’intera vita di Gesù, anche l’esperienza di Dio che egli fa, così come il rapporto con i discepoli che egli vive, come l’intero suo ministero e l’intera sua vita, sono guidati dall’obbedienza alle Scritture, sono orientati e illuminati dall’ascolto interiorizzato della parola di Dio contenuta nelle Scritture. Ascolto che diviene fonte interiore di luce.
Dunque, Gesù sale con tre discepoli sul monte ed ecco che il suo volto divenne splendente come il sole e le sue vesti bianche come la luce. Da dove nasce questa trasparenza di luminosità che abita la persona di Gesù? Matteo lo suggerisce dicendo che Gesù conversava con Mosè ed Elia, dunque con le Scritture tutte, con la Torah e i Profeti, e che da una nube luminosa venne una voce che proclamava Gesù quale Figlio di Dio e chiedeva ai discepoli di ascoltarlo. Una voce che dice: “Questi è il mio figlio, l’amato, in lui mi sono compiaciuto. Ascoltatelo” (Mt 17,5). Voce che altro non è che un condensato di passi scritturistici, il Salmo 2, che parla del Messia, Isaia 42 che annuncia il Servo del Signore, Gen 22 che narra di Isacco destinato al sacrificio, e Dt 18 che parla del profeta escatologico. L’esperienza di Dio vissuta da Gesù viene espressa da Matteo come luminosità che risplende sul volto di Gesù ed è frutto dell’assiduo lavoro di ascolto e lettura della parola della Scrittura. Ecco la parola che è luce per i passi dell’uomo (Sal 119,105), la parola che, ascoltata e interiorizzata, trasfonde la sua vita, la sua luce, la sua forza, nel corpo e nell’anima dell’uomo. Non avviene nulla di magico o di sovrannaturale, ma tutto viene risignificato, tutto l’umano viene risignificato, anche il cammino di sofferenza e di morte. Sì, tutto trova un senso nuovo e così il vivere trova una forza prima sconosciuta e una motivazione profonda, radicale. Ma le motivazioni radicali, come quelle di una vita di radicale sequela di Gesù, come quelle di una vita monastica, sono tali quando sono anche radicate, stabili, non volubili ed esposte a ogni soffio di vento. Della radicalità fanno parte la stabilità e la perseveranza.
La Trasfigurazione dice che lo splendore della gloria di Dio rifulge sul volto di Gesù, il Servo obbediente, colui che adempie le Scritture vivendole. Ecco cos’è vivere per fede, vivere di fede: ci si fa guidare dalla parola di Dio, non dalle nostre parole. Ci si lascia illuminare dalla parola di Dio e non illudere dai nostri progetti o dai nostri desideri. Accettando le sofferenze e le traversate dell’oscurità che questo comporta. Quando Paolo dice che noi camminiamo per mezzo della fede, non della visione, afferma che la fede ci guida anche nelle tenebre, nel buio, ci orienta quando siamo nella aporia. Gesù avanza nella fede, affronta con fede e decisione il suo cammino, cammino di cui ha già chiaramente intravisto i tratti di sofferenza e morte che lo attendono, ma ormai ne conosce, per fede e nella fede, anche la destinazione vitale. Gesù sa che quello è un cammino di vita. Non a caso, scendendo dal monte, Gesù ordinerà ai discepoli di non dire a nessuno la visione “finché il Figlio dell’uomo non sia risuscitato dai morti” (Mt 17,9).
Sì, per Matteo la Trasfigurazione è esperienza di obbedienza alle Scritture. Il Gesù trasfigurato è l’obbediente alle Scritture. Un’obbedienza che coincide con la fede stessa. La fede di Gesù, certo, ma anche la fede a cui sono invitati i discepoli. Ecco infatti che l’impatto sui discepoli della parola della Scrittura divenuta voce, li sconvolge e getta a terra: anzi, al volto di Gesù su cui rifulge la luce gloriosa di Dio fa riscontro il cadere sul proprio volto, il cadere faccia a terra dei discepoli. La sequela di Gesù porta anche alla caduta, all’oscurità, allo smarrimento dell’identità. La nube che avvolge i discepoli per ora è solo caligine e confusione, ombra e incertezza. Ma qui si situa il cuore dell’esperienza di fede dei discepoli che è vitale per ognuno di noi. In quella crisi, in quello smarrimento di identità, caduti faccia a terra, i discepoli fanno un’esperienza di ascolto di una parola che si trasforma in visione di Gesù.
Ascoltata la voce dalla nube, la voce al cuore del buio della nube, udita la parola scritturistica nell’indistinzione e nella paura essi arrivano ad alzare gli occhi e a vedere Gesù solo. Dalle tenebre alla luce, dal non vedere al vedere il volto di Gesù. Tutta l’esperienza di Dio, tutte le Scritture sante, la Legge e i Profeti, ora i discepoli li vedono in Gesù solo. Nella spoglia e gloriosa umanità di Gesù. Ecco l’esperienza nuda ed essenziale della fede, sempre da nutrire, coltivare e rinnovare: l’ascolto della parola della Scrittura che si condensa nella persona e nella “vita di Gesù descritta e predicata nell’evangelo” (RBo 3), per dirla con la nostra Regola monastica. Ascolto di una parola che diviene coscienza ed esperienza di fede della prossimità di Gesù. “Gesù si avvicinò e, toccandoli, disse: ‘Alzatevi e non temete’”. Questo versetto, proprio di Matteo, è al cuore del racconto. La parola di Dio ascoltata raggiunge in modo vitale i discepoli nella carne umana di Gesù che si fa loro prossimo, li tocca con dolcezza e tenerezza, e dice loro che possono risollevarsi, che hanno il diritto di non aver più paura, ma dice anche che hanno la responsabilità di uscire dalla paura, hanno il dovere, il compito di raccogliere le forze per rialzarsi. Quelle parole sono comando che dice una possibilità: potete alzarvi, ma che assegna anche una responsabilità: siete chiamati a uscire dalla paura, dagli alibi che vi tengono paralizzati a terra, inerti, in posizione di vittime. Quel comando: “Alzatevi” o “Àlzati” è spesso detto a persone segnate da malattie e prostrate da sofferenze: un paralitico (Mt 9,5), un mendicante cieco (Mc 10,49), un uomo con una mano inaridita (Mc 3,3). Chiedono, questi comandi, che si tolga lo sguardo da sé, dalla propria situazione sofferente, che si esca dal vittimismo e si volga lo sguardo e si porga l’orecchio alla parola del Signore. Questo è entrare nella fede, ma anche crescere in umanità. Andando in profondo, che è sempre anche, prima o poi, andare a fondo.
Ecco il messaggio che ci viene dalla parola evangelica sulla Trasfigurazione. Messaggio semplice ed essenziale, limpido e inequivocabile. Un’unica e basilare cosa ci viene ricordata. Ma vitale e potente, parola che, obbedita diviene capace di far risorgere le nostre vite, di farci mettere in pratica l’alzatevi che Gesù ci rivolge. Ecco l’unica cosa, veramente buona: rinnovare il fondamento della nostra vocazione cristiana e monastica ritrovando quel quotidiano ascolto della parola di Dio che si condensa nell’esperienza, nella conoscenza pratica di Gesù. Di Gesù solo. Di Gesù che dice a ciascuno e a tutti noi: “Alzatevi e non abbiate paura”. Qui l’origine di una vita comune, di una preghiera comune, di una vita di servizio reciproco. Un’origine che nasce sempre da una nube luminosa. Una nube grigia, confusa, ma che si rivelerà luminosa. Perché dal buio rifulge una luce, dall’oscurità sgorga la luminosità, dalla morte la vita. Questa la fede pasquale.