Il monte della comunione
8 marzo 2020
Mt 17,1-9
II domenica di Quaresima
di Luciano Manicardi
In quel tempo 1Gesù prese con sé Pietro, Giacomo e Giovanni suo fratello e li condusse in disparte, su un alto monte. 2E fu trasfigurato davanti a loro: il suo volto brillò come il sole e le sue vesti divennero candide come la luce. 3Ed ecco, apparvero loro Mosè ed Elia, che conversavano con lui. 4Prendendo la parola, Pietro disse a Gesù: «Signore, è bello per noi essere qui! Se vuoi, farò qui tre capanne, una per te, una per Mosè e una per Elia». 5Egli stava ancora parlando, quando una nube luminosa li coprì con la sua ombra. Ed ecco una voce dalla nube che diceva: «Questi è il Figlio mio, l'amato: in lui ho posto il mio compiacimento. Ascoltatelo». 6All'udire ciò, i discepoli caddero con la faccia a terra e furono presi da grande timore. 7Ma Gesù si avvicinò, li toccò e disse: «Alzatevi e non temete». 8Alzando gli occhi non videro nessuno, se non Gesù solo.
9Mentre scendevano dal monte, Gesù ordinò loro: «Non parlate a nessuno di questa visione, prima che il Figlio dell'uomo non sia risorto dai morti».
La seconda domenica di Quaresima presenta il racconto della trasfigurazione di Gesù, a indicare l’esito di luce pasquale del cammino quaresimale iniziato nella prima domenica con l’episodio delle tentazioni. Il brano della trasfigurazione secondo Matteo è preceduto da alcune parole misteriose con cui Gesù sembra alludere a eventi prossimi che lui già conosce: “Vi sono alcuni tra i presenti che non moriranno, prima di aver visto venire il Figlio dell’uomo con il suo regno” (Mt 16,28). Sei giorni dopo queste parole profetiche, Matteo presenta Gesù che compie un gesto deciso: prende con sé tre discepoli e li conduce su un alto monte. Una parola e un gesto ben connessi, che dicono qualcosa dell’intento di Gesù, perché i tre discepoli erano tra i presenti quando lui pronunciava le parole su chi avrebbe visto il Figlio dell’uomo venuto nel suo regno prima di gustare la morte. Inoltre la dizione “sei giorni dopo” (Mt 17,1) situa precisamente questo gesto. Lo situa dopo la confessione messianica di Pietro (Mt 16,13-20), dopo le parole dure sulla passione, morte e resurrezione del Figlio dell’uomo (Mt 16,21), dopo il rimprovero di Gesù a Pietro (Mt 16,22-23) e dopo le parole esigenti sulla sequela (Mt 16,24-27). Ora, l’AT fa del sesto giorno il giorno dell’attesa del compimento. Dunque, sia il narratore con questa notazione cronologica, sia Gesù con le sue parole e il suo gesto, ci pongono in uno stato di attesa. Matteo sottolinea l’iniziativa di Gesù: lui prende con sé i discepoli e li conduce dove lui vuole. E i discepoli si lasciano condurre. Assistiamo qui a una sorta di iniziazione, all’introduzione in un cammino che inizia con una separazione, una messa a parte, cui seguirà un momento di liminalità, di incertezza e timore, e si concluderà con una reintegrazione (il ritorno ai piedi del monte). Ovvero, il tipico cammino iniziatico. Gesù distingue i tre discepoli dal gruppo degli altri, li prende e li guida. Essi non fanno altro che obbedire: ripensando più tardi a quell’evento non potranno che dire di essere stati scelti dal Signore, di non essersi inventati loro quel cammino, ma di aver solo obbedito. Si lasciano prendere e guidare senza sapere a cosa stanno andando incontro.
Gesù li conduce su un alto monte. L’espressione “alto monte” si trova qui e nel racconto delle tentazioni (Mt 4,8). Il monte dove Gesù porta i tre discepoli è luogo sia di tentazione che di rivelazione. In particolare è il luogo in cui Gesù manifesta che la sua persona è comunione con Dio e con gli uomini. Lasciarsi guidare da Gesù, sta dicendo Matteo, significa essere condotti alla comunione con Dio. Anzi, essi faranno esperienza di comunione con Dio e di comunione tra di loro. Comunione con Dio, anzitutto, come appare dal monte dove Gesù vince la tentazione custodendo la comunione con Dio mediante l’obbedienza alla Scrittura (cf. Mt 4,8-11), o dal monte su cui si ritira a pregare (cf. Mt 14,23), o dal monte su cui il Risorto proclama la sua piena comunione con Colui che gli ha dato ogni potere in cielo e in terra (cf. Mt 28,18). Comunione poi con gli uomini, come appare dal monte da cui Gesù predica la parola del Regno alle folle (cf. Mt 5,1), o dal monte dove opera guarigioni e dona il pane alle folle bisognose (cf. Mt 15,29-39), o dal monte dove il Risorto afferma la sua comunione con i discepoli, dicendo che sarà con loro tutti i giorni fino alla fine del mondo (cf. Mt 28,20). Sul monte della Trasfigurazione i due aspetti della comunione vissuta da Gesù sono strettamente connessi: la luminosità del suo volto dice la sua intimità con il Dio che “è luce” (1Gv 1,5) e la visione gloriosa di Mosè ed Elia da parte dei discepoli così come l’ascolto della Parola di Dio espressamente rivolta loro (cf. Mt 17,3.5) esprimono il coinvolgimento dei discepoli in quella esperienza comunionale. Ecco il fine dell’ascesa del monte che Gesù ha fatto fare ai discepoli. In questo luogo in disparte, lontano dalle folle, Gesù “fu trasfigurato davanti a loro”. Sul monte avviene un’esperienza: il Signore si fa conoscere ai discepoli più in profondità con un’esperienza che può essere espressa adeguatamente con il simbolo della luce.
I vv. 2-3 ci pongono di fronte al momento dell’approfondimento della conoscenza di Cristo. La conoscenza più profonda del Signore che si vuole seguire fino alla fine, ottemperando alle condizioni durissime appena poste da Gesù sei giorni prima (rinnegare se stessi, prendere la propria croce, perdere la propria vita), getta nella confusione i discepoli. Dopo l’obbedienza scelta, ma anche non pienamente consapevole, che porta a seguire Gesù e a salire dove lui sta andando, ecco che vengono la vertigine, il timore, lo smarrimento. In Luca si dice che Pietro non sapeva quel che diceva, in Marco che non sapeva che cosa rispondere perché tutti erano stati presi dalla paura. In Matteo si dice che i discepoli caddero sul loro volto, vennero meno, e furono presi da grande paura (Mt 17,6). In Matteo poi emerge una dimensione ulteriore che riguarda Pietro. Egli si propone di fare lui stesso, da solo, tre tende. Se in Luca e Marco Pietro dice: “Facciamo tre tende”, coinvolgendo gli altri discepoli, qui egli dice: “io farò qui tre tende” (Mt 17,4). Pietro esclude gli altri, vuole essere da solo a costruire le tende. Pietro esce dalla dimensione comunionale a cui Gesù li ha chiamati e grazie alla quale hanno fatto esperienza della sua luminosità, del suo essere l’uomo che narra Dio. Perché questo dice il racconto della Trasfigurazione: nella sua carne Gesù visibilizza Dio, lo rende prossimo agli uomini. Pietro, che aveva rifiutato la dimensione della passione e della morte nel cammino di Gesù, ora rifiuta la dimensione comunionale. E anche sul monte, non solo sei giorni prima quando Gesù gli aveva detto “Va’ dietro a me, Satana, tu mi sei di scandalo” (Mt 16,23), Pietro viene zittito: “mentre ancora parlava”, una nube luminosa coprì con la sua ombra Gesù, Mosé ed Elia e rivolse un comando al plurale, rivolto al voi di tutti e tre i discepoli che smentiva l’iniziativa protagonistica di Pietro: “Questi è il mio Figlio amato, ascoltatelo”. Voi, ascoltatelo. Voi tutti. Al cuore dell’episodio della trasfigurazione vi è la voce dalla nube che comanda l’ascolto di Gesù (cf. Mt 17,5). Ma anche al cuore della vita di sequela a cui Gesù ci conduce nella vita cristiana. Il testo della Trasfigurazione afferma che per Gesù stesso questa esperienza è decisiva, come lo è stata al momento delle tentazioni quando Gesù ha vinto il tentatore con le parole della Scrittura. Gesù è sul monte della Trasfigurazione, ma proprio lì appare evidente che il luogo in cui Gesù dimora è la relazione con Dio che trova nell’assiduità con le Scritture il suo momento privilegiato. Il monte non è luogo di fuga dalla realtà ma, anzi, luogo che consente di attraversare la vita e la realtà in modo fecondo. Sul monte della Trasfigurazione vi è la rivelazione che Gesù è un figlio obbediente al Padre attraverso l’ascolto delle Scritture. Scritture che diventano voce vivente di Dio: “Questi è il mio Figlio, l’amato, nel quale mi sono compiaciuto. Ascoltatelo”. In verità il Dio che parla sta facendo parlare la Scrittura con una combinazione di quattro testi scritturistici: Sal 2,7; Is 42,1; Gen 22,2; Dt 18,15. Gesù potrà scendere dal monte e proseguire il suo cammino verso Gerusalemme grazie alla forza che gli viene dalla relazione che egli vive con il Padre e alla speranza e consolazione che gli vengono dalle Scritture (Rm 15,4). Ma attingere nella parola di Dio contenuta nella Scrittura la forza e la luce per il proprio cammino è ciò che viene chiesto anche ai discepoli: “Ascoltatelo”.
La reazione dei discepoli alle parole celesti lega ascolto e timore: “ascoltando ciò, … i discepoli temettero grandemente” (Mt 17,6). Vi è qui l’eco del passo di Dt 4,32-33: “Dal giorno in cui Dio creò l’uomo sulla terra vi fu mai cosa grande come questa, che cioè un popolo abbia udito la voce di Dio parlare dal fuoco e sia rimasto vivo?”. Oggi, l’espressione “ascolto della Parola di Dio” è in bocca a tutti e rischia la banalizzazione: dovremmo ricordare che ascoltare la Parola di Dio è esperienza temibile che non si esaurisce nella lettura di pagine bibliche pur avendo bisogno delle pagine bibliche. Ascoltare la Parola di Dio significa scoprire la presenza di Dio e accoglierla in noi, ma si tratta di una presenza irriducibile all’ordine della rappresentazione, della percezione e della conoscenza. È una presenza altra, è luce. È la presenza luminosa che abita Gesù e raggiunge i discepoli grazie alla voce di Dio che, attraverso le Scritture, proclama l’identità messianica di Gesù (“Questi è il mio Figlio”: Sal 2,7), il suo essere servo (“In lui mi sono compiaciuto”: Is 42,1), l’amato, il figlio unico, come Isacco (“il diletto”: Gen 22,2) e il profeta (“Ascoltatelo!”: Dt 18,15). L’ascolto della Parola di Dio è temibile perché conduce al cambiamento, a mutare vita facendo della Parola ascoltata il centro rinnovato e innovatore della propria esistenza. Questo è il fine della salita dietro a Gesù sul monte alto: imparare ad ascoltare la sua parola per conoscerlo, per abitare la sua parola e così abitare in lui. Ma anche per imparare ad amare come lui ha amato e così vivere la fraternità, la comunione con i fratelli e le sorelle e dare senso al tempo della propria vita mettendo in pratica ciò che ascoltiamo nel Vangelo: l’amore.