Siete venuti a confessare i vostri peccati
La confessione personale deve limitarsi alla mia persona, perché è il mio destino personale a essere in gioco. Per quanto possa essere imperfetto il giudizio che proferisco su me stesso, è da qui che bisogna cominciare, e bisogna farlo chiedendosi: di che cosa mi vergogno della mia vita? Quali sono le cose che voglio nascondere di fronte al volto di Dio, o che voglio nascondere di fronte al giudizio della mia stessa coscienza e che mi fanno paura?
Non sempre è facile affrontare una questione del genere, perché ci siamo così spesso abituati a sottrarci al nostro personale e legittimo giudizio che, quando facciamo un esame di coscienza nella ferma speranza di scoprire la verità su noi
stessi, ci sembra di urtare contro enormi difficoltà; eppure è proprio da qui che bisogna cominciare. E se anche non avessimo nient'altro da dire in confessione, questa sarebbe malgrado tutto sincera, sarebbe proprio nostra.
Ma ci sono molti altri punti da esaminare. Basta che ci guardiamo attorno e ci rammentiamo di quello che gli altri pensano di noi, di quali sono le loro reazioni nei nostri confronti, di ciò che succede quando ci troviamo in mezzo a loro, per scoprire nuove ragioni per emettere un giudizio su noi stessi. Sappiamo bene di non essere sempre portatori di gioia e di pace, di verità e di bontà nelle nostre relazioni con gli altri. Basta scorrere la lista dei nostri amici più vicini, quelli che incontriamo più o meno frequentemente, e il nostro atteggiamento apparirà chiaramente: quanti di loro abbiamo ferito, ingannato, offeso, abbiamo indotto in tentazione in un modo o nell'altro?
Ma vi è ancora un altro giudizio che dobbiamo affrontare: "Quello che avrete fatto a uno dei più piccoli dei miei fratelli, l'avrete fatto a me", ci dice il Signore (cf. Matteo 25,40).
Ricordiamoci ancora di come ci giudicano gli altri: spesso si tratta di un giudizio penetrante ed equo; ma noi non ne vogliamo sapere di ciò che la gente pensa di noi, nella misura in cui dice la verità e ci mette sotto accusa. Succede però, al contrario, che le persone ci odino e ci amino allo stesso tempo, senza un motivo valido. Ci odiano senza ragione nella misura in cui agiamo secondo la verità divina, proprio perché risulta una verità scomoda. Ci amano egualmente senza ragione valida nella misura in cui accettiamo con troppa leggerezza la falsità della vita, e in questo caso ci amano non per le nostre virtù ma per il tradimento che consumiamo nei confronti della verità divina.
E necessario allora ancora una volta pronunciare un giudizio su noi stessi e prender coscienza che dovremo talora pentirci per il fatto che la gente ha simpatia per noi e ci porta alle stelle; ancora una volta Cristo ci avverte: guai quando si dirà bene di voi (cf. Luca 6,26)...
Possiamo infine fare ricorso al giudizio dell'evangelo con questa domanda: come ci giudicherebbe il Salvatore se considerasse la nostra vita?
Ponetevi queste domande, e vedrete che la vostra confessione sarà allora seria e meditata, e che non finirete per manifestare, confessandovi, quella futilità, quel balbettio infantile indegno della vostra età che sovente capita di sentire.
Non coinvolgete gli altri. Siete venuti a confessare i vostri peccati, non i loro. Le circostanze che hanno generato il peccato hanno un significato solo nel caso in cui aggravino il vostro peccato e la vostra responsabilità; e il racconto del fatto in quanto tale, del come e del perché, non ha nulla a che vedere con la confessione: può soltanto indebolire in voi la coscienza della colpa e lo spirito del pentimento.
A. Bloom, {link_prodotto:id=338}
Qiqajon, Bose 2002