Beata debolezza
La maggior parte di noi è inquieta, se non addirittura smarrita, quando ci appare, in modo più o meno brutale, la nostra debolezza. Alcuni arrivano perfino a fuggire: bisogna aver già una certa esperienza dell'amore di Dio per osare permanere nella debolezza e riconciliarsi con il proprio peccato. Alcuni non riusciranno mai a riconoscere la minima traccia di debolezza in se stessi, il che è molto grave. La vita di costoro può sembrare molto generosa, perché fanno degli autentici sforzi, ma nel contempo sarà sempre un po' rigida e forzata: una vita in cui l'amore autentico non può sgorgare; sono persone alla soglia dell'indurimento, prossime all'accecamento spirituale.
Grazie a Dio, molto più spesso non è così: è più frequente che noi conosciamo bene la nostra debolezza ma senza sapere come gestirla. Essa ferisce inconsciamente l'immagine ideale di noi stessi che portiamo sempre con noi. Spontaneamente pensiamo che la santità va ricercata nella direzione opposta al peccato e contiamo su Dio perché il suo amore ci liberi dalla debolezza e dal male e ci permetta così di raggiungere la santità. Ma non è così che Dio agisce con noi: la santità non si trova all'opposto bensì al cuore stesso della tentazione, non ci aspetta al di là della nostra debolezza ma al suo interno. Sfuggire alla debolezza significherebbe sfuggire alla potenza di Dio che è all'opera solo in essa. Dobbiamo dunque imparare a dimorare nella nostra debolezza, ma armati di una fede profonda, accettare di essere esposti alla nostra debolezza e nello stesso tempo abbandonati alla misericordia di Dio. Solo nella nostra debolezza siamo vulnerabili all'amore di Dio e alla sua potenza. Dimorare nella tentazione e nella debolezza: ecco l'unica via per entrare in contatto con la grazia e per diventare un miracolo della misericordia, Dio.
È quanto è capitato a Pietro: aveva appena rinnegato il suo Maestro per la terza volta, che "il Signore, voltatosi, guardò Pietro, e Pietro si ricordò della parola che il Signore gli aveva detto: `Prima che il gallo canti, oggi mi rinnegherai tre volte'. E uscito, pianse amaramente" (Lc 22,61-62). Che cosa ha significato quello sguardo per Pietro, possiamo solo immaginarcelo. Non fu certo una condanna: "Non sono venuto per condannare", dice Gesù stesso (Gv 12,47). Non fu neanche un rimprovero, ma solo un amore dolce e ardente: "Buono e pietoso è il Signore, lento all'ira e grande nell'amore. (...) Come un padre è tenero con i suoi figli, così è tenero il Signore" (Sal 103,8.13). E questo proprio nel momento in cui Pietro è venuto meno nei confronti di Gesù e si scopre in flagrante delitto di tradimento. In quella precisa situazione lo sguardo d'amore di Gesù lo tocca e lo ferisce e, nello stesso istante, gli offre il suo perdono d'amore. E non si limita ad accordargli il perdono, ma chiama Pietro a una nuova vita: da quel momento, infatti, Pietro è diventato un altro uomo, il uo intimo vacilla, il suo cuore si scioglie, ora sa cos'è l'amore.
A. Louf, Sotto la guida della Spirito, Qiqajon, Bose 1990