Il mistero che noi dobbiamo conoscere
La liturgia educa il credente alla preghiera indicando anzitutto il primato dell’ascolto della parola di Dio contenuta nelle Scritture. Affermare che nella rivelazione giudeo-cristiana l’ascolto è dimensione essenziale e costitutiva della preghiera, significa relativizzare la parola dell’uomo, ponendola come atto secondo, come risposta. Nella Scrittura Dio non è definito in termini di essenza, nello stesso modo in cui l’esperienza di Dio non è primariamente esperienza di visione, ma Dio è definito in termini di relazione, di dialogo, di parola, così che l’unica possibile esperienza di lui è l’ascolto. Per bocca del profeta Geremia Dio dirà: “Ho comandato loro solo questo: ‘Ascoltate la mia voce! Io diventerò il vostro Dio e voi diventerete il mio popolo’” (Ger 7,23). A giusto titolo Roland Barthes, riflettendo sulla fenomenologia dell’ascolto, osserva che “l’ingiunzione di ascoltare è l’appello totale di un soggetto a un altro … per cui ‘ascoltatemi’ sta per ‘toccatemi, sappiate che esisto’” (R. Barthes, R. Havas, s.v. “Ascolto”, in Enciclopedia I, a cura di R. Romano, Einaudi, Torino 1977, p. 985). Da parte sua anche Dio, quando ingiunge: ShemàJisra’el (Dt 6,4), non fa altro che rivolgere al suo popolo l’appello a confessare la sua esistenza, a discernere la sua presenza, invitandolo a entrare in relazione con un Altro che lo precede e lo fonda. L’alta consapevolezza che la fede ebraica ha del primato dell’ascolto nella relazione con Dio si manifesta in modo totale nel fatto che la preghiera per eccellenza di Israele sia lo Shemà. La preghiera di Israele è la ripetizione del comando dell’ascolto rivoltogli da Dio. Là dove l’uomo delle religioni si rivolge a dio con l’invocazione: “Ascolta, o dio!”, il popolo eletto prega dicendo: “Ascolta, Israele!”, sovvertendo così il fenomeno umano della preghiera …
La preghiera nata dall’ascolto della parola di Dio deve essere interiorizzata personalmente da ogni orante. Questo processo di interiorizzazione personale della preghiera comune è di grande importanza nell’educazione alla preghiera compiuta dalla liturgia. Se la liturgia non educa all’interiorizzazione, essa non raggiunge il suo fine educativo. Per questo la liturgia deve tutto predisporre al suo interno affinché l’orante si appropri di ciò che ascolta nella preghiera comune. Deve predisporre tempi di parola e tempi di non parola, tempi di ascolto e tempi di silenzio, affinché chi prega si nutra del significato spirituale del testo liturgico. L’interiorizzazione, infatti, dice la verità dell’ascolto, in quanto “l’ascolto è questo gioco di cattura dei significati” (R. Barthes, R. Havas, s.v. “Ascolto”, p. 988).
G. Boselli, Il senso spirituale della liturgia, Qiqajon, Bose, 2011, pp. 169-174.