Sai aspettare?
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Caro amico, cara amica,
inizia un nuovo anno liturgico, che si apre con il tempo dell’Avvento, tempo della Venuta (dal latino Adventus) del Signore nostro Gesù Cristo. I credenti cristiani professano la loro fede dicendo: “Gesù Cristo verrà nella gloria per giudicare i vivi e i morti e il suo Regno non avrà fine”. Ecco, il tempo dell’Avvento è soprattutto l’attesa di questo evento, attesa che sempre abita il cuore del cristiano ma che in queste settimane si fa più ardente. “Vieni, Signore Gesù, vieni presto!” (cf. Ap 22,17.20), è il grido della chiesa.
Il vangelo della prima domenica di Avvento (Mt 24,36-44) ci dona la promessa di questa venuta, di questo evento. Se la nostra fede non ci aprisse a questa speranza, noi cristiani saremmo da compiangere più di tutti gli uomini e le donne (cf. 1Cor 15,19)… Ma ci crediamo ancora? Attendiamo ancora il Signore Gesù? Il punto però non è quello dell’attesa di un futuro incognito, bensì il come vivere nell’oggi, lo stile con cui mostriamo di attendere la venuta del Signore. Il nostro brano evangelico ci fornisce delle coordinate molto precise. L’inizio è più chiaro che mai: “Quanto a quel giorno e a quell’ora, nessuno lo sa, né gli angeli del cielo né il Figlio, ma solo il Padre”. Non lo sapeva lui, non lo sappiamo noi. Su questo Gesù è martellante:
E non si accorsero di nulla, non seppero nulla finché venne il diluvio e travolse tutti.
Non sapete in quale giorno il Signore vostro verrà.
Se il padrone di casa sapesse a quale ora della notte viene il ladro, veglierebbe e non si lascerebbe scassinare la casa.
Nell’ora che non immaginate, viene il Figlio dell’uomo.
Ma Gesù ci fornisce anche l’antidoto al “non sapere”. O meglio, per averlo vissuto in prima persona, ci insegna come attendere, come vivere proprio mentre non sappiamo: “Vegliate dunque … cercate di capire, di conoscere … tenetevi pronti”. Tre verbi in cui è racchiusa l’intera nostra vita:
vegliare, cioè restare desti, non essere intontiti, essere capaci di lucida adesione alla realtà;
capire, conoscere, cioè pensare, ragionare, non essere preda del “così fan tutti”, osare la propria originalità;
tenersi pronti, cioè essere sempre consapevoli, accorgersi di tutto. Proprio il contrario della generazione di Noè, quella del diluvio: “non si accorsero di nulla finché venne il diluvio e travolse tutti”. Non si resero conto di quello che stava avvenendo… Mangiavano, bevevano, si sposavano: quando si riduce la vita umana solo a questo, si viene travolti dalla stessa vita che si fa. Sfamarsi e accoppiarsi senza accorgersi di nulla è degli animali non degli umani.
Assumere questa attitudine complessiva è una questione d’amore per Gesù Cristo, di adesione convinta a lui. Ecco la fonte della nostra “differenza cristiana”: noi cristiani dovremmo essere persone che “amano la venuta del Signore Gesù Cristo” (2Tm 4,8) perché “amano lui, il Signore, senza averlo visto” (1Pt 1,9). E ciò si traduce poi in quotidiano amore fraterno, sulle sue tracce: “Amatevi gli uni gli altri come io vi ho amati” (Gv 13,134; 15,12).
In fondo, tutto questo può essere riassunto nella dinamica di una passione profonda per il Signore Gesù, che dunque ci spinge ad attenderlo come si attende un amico. In questo breve tempo di Avvento lasciamo dunque risuonare in noi queste luminose parole evangeliche, accompagnandole con quelle di una poetessa contemporanea (Chandra Livia Candiani):
“Sai aspettare?”.
“So bruciare”.
“Fino alle braci?”.
“Fino alle braci”.
“È perfetto”.