don Pino Puglisi
Don Pino Puglisi fu ucciso nella tarda serata del suo 56° compleanno, il 15 settembre 1993, davanti al portone di casa, nel quartiere Brancaccio di Palermo. Mandanti dell’omicidio furono i capi mafia Filippo e Giuseppe Graviano, poi condannati all’ergastolo. A sparare, invece, fu Salvatore Grigoli, un uomo che in carcere sembrò intraprendere un cammino di conversione. Grigoli stesso raccontò l’ultimo istante del prete siciliano prima di essere ucciso: “Un sorriso e poi le parole: ‘Me lo aspettavo’”. È stato beatificato il 25 maggio 2013, pochi mesi dopo l’elezione di papa Francesco, come martire in odium fidei, cioè in odio alla fede.
Questa la cronaca della conclusione di una vita. La vita di don Pino che fu vittima della mafia, cui durante la vita aveva opposto la forza del vangelo. “Fede, coraggio, resurrezione”: così il presidente del senato Pietro Grasso l’ha ricordato, un anno fa, nell’anniversario della morte.
La linfa vitale delle mafie è il muro di omertà e di consenso che si creano fra la gente: don Pino lo sapeva e, per contrastarlo, giorno dopo giorno educava gli adolescenti alla cultura della legalità; li rendeva consapevoli e desiderosi di rompere le catene che imprigionavano la Sicilia. Quando, dal settembre del 1990, fu nominato parroco a Brancaccio – quella stessa borgata in cui nacque e visse la sua infanzia –, unì sempre lo stile dell’annuncio all’incontro personale, e alla creazione di strutture che permettessero le relazioni. Sin dai primi anni del suo ministero segue in particolare modo i giovani e si interessa delle problematiche sociali dei quartieri più emarginati della città. Segue con attenzione i lavori del Concilio Vaticano II e ne diffonde i documenti tra i fedeli.
Non temette, per esempio, di opporsi a un comitato che spendeva 80 milioni di lire dell’epoca per la festa patronale (fuochi d’artificio, cantanti eccetera), in una parrocchia senza spazi per le attività. Lui intanto stava progettando, fin dal 1992, la creazione di una grande struttura parrocchiale, inserita in un’area verde, con accanto un teatro e un ampio spazio per le celebrazioni all’aperto, un gazebo e una biblioteca.
Don Pino ha testimoniato che la paura non può costituire la definitiva parola di chi crede in Cristo. Noi potremmo chiederci: è folle pensare di fronteggiare le mafie con la forza disarmata del vangelo? Forse, ma di quella stessa follia che chiede di amare i nemici e di pregare per i persecutori, di odiare il male ma amare le persone, anche quelle che sembrano aver smarrito la loro appartenenza all’umanità.