Ogni volta che Dio pone una domanda di questo genere: “Adamo, dove sei?” (Genesi 3,9), non è perché l’uomo gli faccia conoscere qualcosa che lui ancora ignora: vuole invece provocare nell’uomo una reazione suscitabile per l’appunto solo attraverso una simile domanda, a condizione che questa colpisca al cuore l’uomo e che l’uomo da essa si lasci colpire al cuore.
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Se ci volgiamo alle immagini che oggi la società veicola a proposito del corpo, ci troviamo stretti tra, da un lato, esaltazione, idolatria, sublimazione, esibizione e, dall’altro lato, disprezzo e rimozione: esaltazione dell’immagine di un corpo giovanile, sempre sano, desiderabile, seducente, e rimozione del corpo sofferente, malato, morente. Oggi si privilegia l’immagine del corpo, ma dobbiamo chiederci se siamo ancora capaci di coglierne la simbolicità
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La nostra natura umana (questo indefinito miscuglio della nostra anima e del nostro corpo) “sa”, con un’incredibile perspicacia che travalica i concetti, che la pienezza di vita si ottiene soltanto nella reciprocità della relazione. Nella reciproca e integrale offerta di sé. Per questo la nostra natura investe nell’eros tutta la sua sete, abissale, di vita. Sete del corpo nostro e dell’anima nostra.
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La lettera a Tito esorta i giovani alla ponderazione (Tt 2,6), cioè capacità di riflettere, di pensare per acquisire sapienza e discernimento. Sì, pensare, prestare attenzione ai moti del proprio cuore pensieri che più invadono la propria mente, rileggere alla sera propria giornata, non è facile. C'è una sorta di istintivo rigetto ripulsa nei confronti della vigilanza su di sé, del guardare in faccia se stessi e ciò che abita il proprio cuore, che è paragonabile al rifiuto veemente che il corpo oppone alla fatica e alla sofferenza.
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