Liberati grazie agli altri
Fratelli, sorelle,
in diversi passaggi la nostra Regola parla di libertà. Ma se stiamo attenti, in realtà parla spesso, forse anche più spesso, di liberazione. Ovvero del processo verso la libertà, del cammino verso la libertà che dunque non appare come un dato di fatto, un obiettivo già raggiunto ma resta una meta ed esige un itinerario da percorrere.
Per esempio, in un passo si parla delle “direttive comuni” che non solo non vogliono schiacciare la personalità, ma vogliono “liberarti dai pesi inutili che minacciano la tua vita spirituale” (RBo 5). Analogamente, l’obbedienza è colta come strumento privilegiato di liberazione: “la tua obbedienza, soprattutto se amorosa e fiduciosa, libererà le tue facoltà intellettuali per renderle docili allo Spirito (RBo 27). L’obbedienza libera “dal soggettivismo che minaccia la vita secondo lo Spirito” (RBo 26).
Pure le difficoltà, in cui è normale che avvenga la vita, svolgono un importante compito e vengono chiamate “liberatrici” (RBo 25): certo, occorre farne qualcosa, altrimenti le difficoltà possono semplicemente deprimere o indurre allo sterile lamento o scoraggiare. Ma quando si decide di fare qualcosa delle difficoltà si è già operato un cammino interiore di vittoria sulla forza delle difficoltà, che viene ampiamente relativizzata. Si riconoscono le difficoltà, le si nomina, le si accoglie, e così le si volge in strumento per la nostra crescita. Non sono più loro che ci dominano, ma noi che, nella misura del possibile, ne facciamo qualcosa. Le usiamo. E così, da qualcosa che può destrutturare diventano qualcosa che può edificare, da qualcosa che può schiacciare, diventano qualcosa che può aiutare un processo di liberazione. Una liberazione dal rischio di vivere una vita da privilegiati (RBo 25), una vita che non si vorrebbe che comportasse difficoltà, ostacoli e opposizioni. Quindi liberazione dall’illusione, dal rischio di vivere la vita passando accanto alla vita stessa e senza farsene toccare in profondità. In ogni caso si tratta sempre di una liberazione anzitutto di se stessi (“affinché tu possa fare opera di liberazione tua e degli altri”: RBo 34).
Mi limito a sottolineare una dimensione di questa liberazione. Che ha a che fare con l’amare. Parlando del celibato la Regola afferma che esso può avere il senso di condurre a una grande disponibilità nel lavoro e nella preghiera e a una libertà che consente un grande servizio ai fratelli (cf. RBo 18). Sì, ma… Nella vita di famiglia l’amore è vissuto come servizio e obbedienza dei genitori ai figli, anzi come sottomissione che si impossessa degli orari, dei ritmi, che preclude una quantità di possibilità. Che toglie, se vogliamo, tanta libertà. Ora, se cogliamo la libertà come liberazione dalla volontà propria, dalla tirannia dell’ego, allora questa libertà, anche per il monaco, è chiamata a diventare sottomissione, ascolto talmente profondo dell’altro da entrare in empatia con lui, da sentire e intuire quel che lui sente e ad agire in modo tale da raggiungerlo, da toccarlo. Ma per questo occorre essere abbastanza indifesi, non più protetti da barriere che impediscono ad altri di raggiungerci, di toccarci, di amarci.
Il lavoro della liberazione è spesso volto a liberarci da quegli ostacoli profondi che noi abbiamo costruito in noi stessi per difenderci dal dolore del vivere e che, solo abbattendoli, solo smantellando tali mura e bastioni interiori, possiamo pensare di poter davvero ascoltare altri, di poter servire veramente i fratelli e le sorelle, di poter amare nei fatti e in verità e non solo a parole (cf. 1Gv 3,18). In questo lavoro, che spetta a ciascuno di noi, è essenziale la presenza degli altri. Amandoci, ci svegliano alla nostalgia della bellezza della relazione e ci spronano a pensare l’altro, a tenere conto di lui, a vivere per lui, a immaginare ciò che per lui è bello e a perseguirlo fattualmente. Detestandoci, ci svelano quanto in noi vi è di non evangelizzato, quanto siamo distanti dall’amare il nemico, che è il sigillo più radicale della libertà cristiana, quanto siamo prigionieri della nostra vanità e del nostro narcisismo. E ci dicono come la strada verso la libertà sia ancora lunga. Di certo, poiché la libertà la si gioca all’interno di relazioni, liberazione è anche impegno etico a mai costruire rapporti di dipendenza, a mai sfruttare la debolezza altrui per tenere in pugno l’altro, a mai fare promesse per legare l’altro a sé, a mai sedurre, a mai esercitare la propria posizione di autorità o di maggiore prestigio per affascinare altri. Perché allora non faremmo opera di liberazione né nostra né di altri, ma di assoggettamento di altri, restando noi stessi schiavi del nostro io. Restando dunque degli idolatri.
Perciò, fratelli e sorelle, siamo sobri e vigilanti perché il nostro Avversario, il Divisore, come leone ruggente si aggira cercando una preda da divorare. Resistiamogli saldi nella fede, impegnati nel cammino di liberazione nostra e degli altri. E tu, Signore, abbi tanta pietà di noi.
fratel Luciano