Tu lavorerai
Fratelli, sorelle,
la nostra Regola dice, a proposito del lavoro: “Tu vivrai la povertà anche sottoponendoti al lavoro, come tutti. Ricorda l’insegnamento dell’Apostolo: ‘Se qualcuno non vuole lavorare non mangi’” (RBo 24). E poi la Regola prosegue con un forte e impegnativo “Tu lavorerai” e aggiunge diversi fondamenti per una seria vita lavorativa, senza la quale non vi è alcuna qualità monastica. La Regola di Benedetto lo ricorda con vigore: “Allora sono veri monaci, quando vivono del lavoro delle proprie mani” (RB 48). E se sempre la vita monastica ha assunto come centrale e fondamentale il lavoro anche per un monaco e una monaca di Bose questo è essenziale e irrinunciabile e tutti sappiamo quanto si è insistito su questo aspetto in tanti anni.
Ma naturalmente il lavoro è essenziale per motivi elementarmente e innanzitutto umani. Se non si lavora, e in comunità vi è chi non lavora o chi, come dice sempre la nostra Regola, lavora “quando gli piace e come gli piace” (cf. RBo 24), di fatto ci si estromette dalla comunità facendo prevalere le istanze di un individualismo che non si cura della comunità. Non lavorare significa non voler collaborare, cioè lavorare con e, soprattutto, come tutti gli altri che invece in comunità lavorano. Il non lavorare o l’ostacolare e disturbare il lavoro degli altri (e anche su questo la Regola ci richiama) equivale a dire il proprio no alla vita comunitaria. Una delle forme che assume il disaccordo verso la vita comunitaria è il non lavorare, il sottrarsi all’oggettività comunitaria negando il proprio impegno e facendo così pressione sul resto della comunità. A volte si tratta di un atto infantile di ripicca.
Inoltre, chi non lavora deturpa la propria umanità, la propria persona, il proprio corpo, il proprio spirito, con l’ozio. E ozio è anche perdere tempo in attività inutili, o moltiplicando contatti con l’esterno, con telefonate e con i social, ma di fatto estraniandosi sempre più rispetto al cammino comunitario. E purtroppo chi in una comunità arriva a estraniarsi, non dovrà stupirsi del futuro di solitudine che si prepara. Chi non assume con serietà il lavoro sottomettendosi a questa obbedienza quotidiana, rivela anche lì la propria carenza di qualità monastica. Lavorare è atto di obbedienza, di adesione alla realtà, e alla lunga porta chi vi si sottrae o chi lavora solo in modo dilettantesco (anche questa è un’espressione della nostra Regola: RBo 24), o agli orari che si costruisce lui, o nei modi e nelle forme che determina lui, a non cogliere più con oggettività la realtà, ma anche a impoverire e deturpare la propria umanità.
L’alleanza monastica passa anche attraverso la reale cooperazione e collaborazione comunitaria, a misura delle forze e capacità personali, rispettando ovviamente le età e le debolezze di ciascuno, ovvero passa anche attraverso l’assunzione come proprio del lavoro che in comunità viene affidato. Se invece nel lavoro si cerca una riuscita personale, e questo può, forse, avvenire più facilmente a chi fa lavoro intellettuale che è maggiormente tentato di divenire imprenditore di se stesso, allora siamo di fronte a un pervertimento mondano del lavoro stesso: l’individualismo, la propria realizzazione personale viene collocata al primo posto e tutto viene subordinato a questo primato dell’io. Occorre dunque vigilare molto e severamente sul lavoro. La Regola di nuovo lo dice con sapienza: “Se la fatica, il lavoro, non fa corpo con la preghiera, allora quella che dovrebbe essere una vita di ricerca di Dio nelle difficoltà liberatrici, diventerebbe una vita di privilegiati” (RBo 25). E al privilegio nella vita comunitaria monastica occorre dire di no con forza e determinazione.
Perciò, fratelli e sorelle, siamo sobri e vigilanti perché il nostro Avversario, il Divisore, come leone ruggente si aggira cercando una preda da divorare. Resistiamogli saldi nella fede e laboriosi nella nostra vita quotidiana. E tu, Signore, abbi tanta pietà di noi.
fratel Luciano