Ritrovare il nucleo evangelico
Fratelli, sorelle,
sta scritto nella nostra Regola nel capitolo dedicato alla vita comune:
“La vita comune significa radicalità di comunione nei beni spirituali e in quelli materiali” (RBo 12).
La struttura stessa della nostra vita monastica ci spinge a questa radicalità di condivisione del tempo e dello spazio, delle attività e degli oggetti: orari comuni, preghiere in comune, pasti in comune, ritmi giornalieri comuni a tutti. E poi, i compiti e i lavori comunitari, le attività della comunità al cui servizio ci si pone. Questa sottolineatura della dimensione comunitaria suscita tensioni interiori tra libertà e responsabilità, tra realizzazione di sé e obbedienza comunitaria, ma anche conflitti, antipatie e insofferenze comunitarie. Noi sappiamo anche che ognuno tende poi a scavarsi una nicchia, un riparo in cui salvaguarda e custodisce e nutre interessi personali non richiesti dalla vita in comune, ma che aiutano il singolo a mantenere il proprio equilibrio e a vivere meglio anche le relazioni fraterne. E questo è normale se resta sano ed equilibrato, ed ovviamente è diverso da persona a persona.
Ma può avvenire che, soprattutto a seguito del passare del tempo, della perdita dell’entusiasmo iniziale, di delusioni e disillusioni che inevitabilmente si manifestano nella vita comunitaria, uno arrivi a nausearsi di ciò che è comune ritenendo di aver troppo sacrificato se stesso, e allora si ribelli anche violentemente sentendosi schiacciato e sfruttato e voglia andarsene; oppure arrivi a sentirsi vittima di ingiustizia vedendo altri che non hanno il suo stesso standard di dedizione comunitaria e ritenga questo intollerabile, oppure arrivi a rovesciare l’ordine della vita comunitaria mettendo al primo posto non la comunità stessa ma aspetti personali, come per esempio la relazione privilegiata con qualcuno o un’attività personale particolarmente gratificante, che diventano i veri motivi che lo tengono in comunità.
In ciascuna situazione vi sarà una risposta e un movimento di conversione diverso: esaminare la propria libertà interiore e riconoscere la propria tendenza alla dipendenza per uscire da uno stato di soggezione; vedere le proprie ferite che si mettono a sanguinare ogni volta che notiamo attorno a noi determinati atteggiamenti; riscoprire la capacità di rinuncia, nella libertà e per amore, al fine di far crescere la vita del corpo comunitario uscendo dal ripiegamento su di sé, dall’infantilismo narcisistico. Sempre, però, in ogni caso, occorre ritrovare l’essenziale, la semplicità, la limpidezza e il centro evangelico della vita comunitaria monastica cristiana: ritrovare questo significa anche ritrovare la bellezza della vita comune, la sua ricchezza, la sua bontà, il suo carattere liberante e perfino la sua leggerezza.
Perciò, fratelli e sorelle, siamo sobri e vigilanti, perché il nostro Avversario, il divisore, come leone ruggente si aggira cercando una preda da divorare. Resistiamogli saldi nella fede impegnandoci ogni giorno a non fare riserve di noi stessi e a trovare la realizzazione di noi stessi nella nostra donazione agli altri. E tu, Signore, abbi pietà di noi.
fratel Luciano