La cella, custode della solitudine
Fratelli, sorelle,
la nostra Regola ricorda che la chiamata monastica a vivere la sequela Christi nella vita comune e nel celibato comporta elementi comuni a ogni battezzato, ma anche alcuni elementi peculiari:
“Tu vivrai nella fede, nella carità, nella speranza, nella preghiera, nel servizio, come i tuoi fratelli cristiani ma anche nel celibato, nella vita comune, nella solitudine, nell’assiduità con Dio come a te in particolare Cristo ha chiesto” (RBo 7).
Tra questi elementi peculiari troviamo la solitudine. E la solitudine monastica trova nella cella un luogo peculiare e privilegiato. La cella è un elemento basilare della formazione monastica, tanto che a volte nella tradizione è designata come maestra, come capace di insegnare. Conosciamo tutti l’apoftegma che dice: “Rimani nella tua cella e la cella ti insegnerà ogni cosa”. Vivere la cella con coscienza e serietà aiuta l’integrazione personale e la vita spirituale di ciascuno, come anche la vita comune e la qualità delle relazioni che ciascuno vive. In tempo di Quaresima, in cui ci chiediamo di cosa ci nutriamo spiritualmente e cerchiamo vie di conversione, cioè di reale e concreto cambiamento, è vitale prendere sul serio la custodia della propria cella. La verità impietosa del detto che “la cella è lo specchio del monaco” ci porta anzitutto a una operazione semplice, elementare, ma essenziale: guardare la nostra cella e vedere cosa ci dice, cosa ci insegna su di noi. Vedere la propria cella è ricevere uno sguardo su noi. Come è tenuta sul piano della pulizia e dell’ordine? È semplice ed essenziale o piena di cose inutili? Trabocca di libri? Il cambiare cella, cosa che dovremo pur riprendere a fare, normalmente ci porta a stupirci di come siamo stati in grado di accumulare una quantità di cose che in verità non ci servono e ci ingombrano soltanto. E facendoci fare un lavoro di buttare via, di ablatio, di alleggerimento, agisce su di noi come dall’esterno indicandoci la via di una essenzializzazione da cui ci siamo allontanati col tempo, senza accorgercene, quasi per inerzia. Noi operiamo su di noi, sul nostro spirito, anche e in particolare dall’esterno, agendo sul nostro corpo, agendo sugli spazi in cui viviamo ogni giorno. Conosciamo infatti per esperienza, sia in positivo che in negativo, la verità dell’altro apoftegma che dice: “Custodisci la cella e la cella custodirà te”.
Perciò, fratelli e sorelle, siamo sobri e vigilanti, perché il nostro Avversario, il divisore, come leone ruggente si aggira cercando una preda da divorare. Resistiamogli saldi nella fede custodendo la solitudine abitata della cella. E tu, Signore, abbi pietà di noi.
fratel Luciano