Piccolezza comunitaria
Fratelli, sorelle,
dice la nostra Regola all’inizio del quarto paragrafo:
“Nessuna comunità e nessuna persona può realizzare ed esaurire tutte le esigenze dell’Evangelo. Solo la chiesa universale nella sua completezza storica può esprimere la totalità degli appelli contenuti” (RBo 4).
Si tratta di un’importante affermazione che dovrebbe liberare la comunità da tentazioni di autoreferenzialità, di autosufficienza, di chiusura in sé, di non aver bisogno di nessuno, e dunque dovrebbe liberare anche il discorso che si fa in comunità sulle diverse e altre componenti ecclesiali, sulle diverse e altre comunità religiose e monastiche, sulle diverse e altre vocazioni, dalle tentazioni della superiorità, della sufficienza, del giudizio. Insomma dallo sguardo giudicante.
La vocazione monastica non è che una tra le tante vocazioni cristiane, e comunque non vi è vocazione più alta della vocazione battesimale. Né la vita monastica può fregiarsi di qualche titolo di superiorità rispetto ad altre forme in quanto ogni forma in cui il Vangelo viene incarnato e vissuto trae la sua legittimità evangelica dal suo essere un particolare riferimento e segno del Regno di Dio.
Il testo della Regola accumula in pochissime righe più riferimenti a “nessuno” e a “tutto” e con forza, direi quasi con massimalismo, si oppone al rischio dell’illusione totalitaria, della deriva settaria, dell’idea di essere migliori di altri, dell’idea folle e nevrotica del “noi e nessuno fuori di noi”, dell’“io e nessuno fuori di me”. Queste parole della Regola sono davvero particolarmente ispirate e invitano all’umiltà comunitaria, alla realistica conoscenza di sé come comunità, e intendo riferirmi non solo e non tanto al riconoscimento delle nostre miserie e peccati sia personali che comunitari, delle nostre inadempienze alla vocazione di vivere radicalmente il Vangelo, ma proprio all’autocoscienza comunitaria. Autocoscienza che la nostra Regola vuole educare quando parla di “piccolezza comunitaria” (RBo 23). Piccolezza che viene smentita ogni volta che il nostro parlare di noi stessi diviene retorica esaltazione dei servizi che rendiamo alle Chiese e compiacimento nelle lodi che altri ci rivolgono.
Perciò, fratelli e sorelle siamo sobri e vigilanti, perché il nostro Avversario, il Divisore, come leone ruggente si aggira cercando una preda da divorare. Resistiamogli saldi nella fede e radicati nella piccolezza e nell’umiltà comunitaria. E tu, Signore, abbi pietà di noi.
fratel Luciano