Il simbolo biblico del mangiare e del bere
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Mangiare e bere, nella Bibbia, sono una cifra simbolica del vivere umano. Non sono soltanto il soddisfacimento di un bisogno biologico, di un piacere sensibile, ma un atto simbolico.
Nel mangiare e bere è impegnata la libertà umana che umanizza un gesto che da solo conserva una radicale ambiguità e che solo la decisione libera di amare può riscattare e far valere come azione positiva, mezzo di comunicazione.
La simbolicità globale è chiaramente attestata in I Re 4,20: "Giuda e Israele erano numerosi come la sabbia del mare, mangiavano e bevevano ed erano felici". Banchettare è simbolo di benessere e di tranquillità sociopolitica sotto il regno di Salomone, quindi condizione di felicità. Nell'oracolo contro Ioiakim, figlio del pio Giosia, Geremia ricorre alla simbolica del banchetto: "Forse tu agisci da re perché ostenti passione per il cedro? Forse tuo padre non mangiava e beveva? Ma egli praticava il diritto e la giustizia e tutto andava bene" (Ger 22,15), Significativa è la connessione tra mangiare/bere e diritto/giustizia: cibo e giustizia sono gli elementi costitutivi di una società prospera e ordinata.
Un mangiare e bere disgiunti dall'attuazione etica della libertà, cioè dalla giustizia, possono diventare espressione del cedimento dell'uomo al suo piacere e al suo avere oppure di una stanca maniera di sopravvivere ai livelli inferiori dell'esistenza o di una forma di fagocitazione febbrile e distruttiva, consumatrice.
In tutte le culture le crisi dissolutrici della società sono state, infatti, descritte mediante l'immagine di banchetti trasformati in orge disumane.
Mangiare e bere come doni di Dio
Nel progetto di Dio creatore, il cibo è un dono di Dio "Dio disse: Ecco, io vi do ogni erba che produce seme e che è su tutta la terra e ogni albero in cui è il frutto, che produce seme: saranno il vostro cibo" (Gen 1,29; cfr. 9,3).
Il salmista canta il dono di Dio che si concretizza nel cibo e nella bevanda: "Fai crescere il fieno per gli armenti e l'erba al servizio dell'uomo, perché tragga alimento dalla terra: il vino che allieta il cuore dell'uomo, l'oblio che fa brillare il suo volto e il pane che sostiene il suo vigore" (Sal 104,14-15).
Qohelet riconosce filosoficamente che "non c'è di meglio per l'uomo che mangiare e bere e godersela nelle sue fatiche; ma mi sono accorto che anche questo viene dalle mani di Dio. Difatti, chi può mangiare e godere senza di
lui?" (Qoh 2,24-25; cfr. 3,13; 5,17).
Il mangiare e bere diventa cifra della condizione umana, dalla accettazione della vita come dono di Dio e umanizzazione del desiderio illimitato mediante una regolazione che consenta la felicità: "Approvo l'allegria, perché l'uomo non ha altra felicità, sotto il sole, che mangiare e bere e stare allegro" (Qoh 8;15).
Di qui l'invito di Qohelet: "Va' mangia con gioia il tuo pane, bevi il tuo vino con cuore lieto, perché Dio ha già gradito le tutte opere" (9,7).
In tutti questi passi e in molti altri risulta evidente che nel banchetto l'uomo esperimenta che egli non fonda da sé il proprio essere, ma che piuttosto vive nel ricevere. Egli sperimenta se stesso come donato, vivente del dono di Dio. E il dono gli si presenta simbolizzato dal mangiare e bere.
Per questo il banchetto diventa simbolo fondamentale dei rapporti tra Dio e l'uomo. Ma la ripetizione necessaria dei gesti di mangiare e bere mostra anche la contingenza e la creaturalità dell'uomo che non vive se non accogliendo sempre di nuovo i doni che sostengono la sua esistenza.