As festas cristãs

Silêncio de Deus, silêncio do homem

Ler mais: Silêncio de Deus, silêncio do homem
7 Abril 2012
Sábado santo
 
22.00h
Vigília Pascal
Jesus, descido aos infernos com a sua morte – uma morte que se tornou ação, uma morte aceite e vivida – destruiu a morte


7 aprile 2012
Sabato santo

ore 22.00
Veglia Pasquale

Può apparire paradossale parlare del sabato santo perché per i cristiani è un giorno contrassegnato dal silenzio, un giorno che potrebbe apparire “tempo morto”, svuotato di senso. Anche i vangeli tacciono su questo “grande sabato”: il racconto della passione di Gesù si arresta alla sera del venerdì, all’apparire delle prime luci del sabato e riprende solo con l’alba del primo giorno della settimana, il terzo giorno, appunto. Giorno vuoto, dunque? Nella tradizione cristiana occidentale, il sabato santo è l’unico giorno senza celebrazione eucaristica, l’unico giorno restato “aliturgico”, senza celebrazioni particolari: tacciono le campane, non ci sono fiammelle accese nelle chiese spoglie, né canti… Anche la preghiera dei cristiani si fa silenziosa ed è carica soprattutto di attesa: attesa di ciò che muterà profondamente ogni cosa, ogni storia. Certo, sappiamo bene che la Pasqua è un evento avvenuto ephápax , “una volta per tutte”, il 9 aprile dell’anno 30 della nostra era, sappiamo che Cristo ormai risorto non muore più, siamo consapevoli di non celebrare un mistero ciclico come facevano i pagani… E tuttavia siamo chiamati a vivere questo giorno cogliendone il messaggio proprio: lo viviamo nella fede che il Signore crocifisso è vivente in mezzo a noi ma, discernendo all’interno del triduo pasquale il secondo giorno come giorno di silenzio, di attesa, del non detto, noi assumiamo una dimensione che ci abita sempre e che alcune volte – nella vita nostra, o degli altri o di interi popoli – è la dimensione durevole, non momentanea, non passeggera.


Sabato santo, giorno dopo la morte, tempo in cui davanti ai discepoli c’era solo la fine della speranza, un’aporia, un vuoto su cui incombeva il non senso, l’insopportabile dolore, la lacerazione di una separazione definitiva, di una ferita mortale: Dov’è Dio? E’ questa la muta domanda del sabato santo. Dov’è quel Dio che era intervenuto al battesimo di Gesù, aprendo i cieli per dirgli: “Tu sei mio figlio, di te provo molta gioia” (Mc 1,11)? Dov’è quel Dio che era intervenuto sull’alto monte, nell’ora della trasfigurazione con Mosè ed Elia e aveva esclamato: “Ecco mio figlio, l’amato!” (Mc 9,7)? Nell’ora della croce Dio non è intervenuto, a tal punto che Gesù si è sentito abbandonato da lui e glielo ha gridato: “Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?” (Mc 15,34). Ecco, un giorno intero passa e non c’è intervento di Dio… Eppure Dio non ha abbandonato Gesù: se l’abbandono appare l’amara verità per i discepoli, Dio in realtà ha già chiamato a sé Gesù, anzi, lo ha già risuscitato nel suo Spirito santo e Gesù vivente è agli inferi ad annunciare anche là la liberazione. “Discese agli inferi” confessiamo nel Credo. Ecco ciò che nel nascondimento avviene al sabato santo: giorno vuoto, silenzioso per i discepoli e per gli uomini, ma giorno in cui il Padre – che “opera sempre” (cf. Gv …), come ha detto Gesù – attraverso di lui porta negli inferi la salvezza. Come Giona nel ventre del pesce per tre giorni e tre notti (cf. Mt 12,40), così anche Gesù dalla croce fu deposto nella tomba e, da lì, discese ancora, agli inferi, allo sheol dove dimorano i morti.


Mistero grande, sul quale oggi la chiesa sembra preferire tacere, quasi fosse afona. Eppure i padri della chiesa, e soprattutto la liturgia antica, hanno voluto cantare anche questa “azione” di Gesù dopo la sua morte. In un’omelia attribuita a Epifanio sta scritto: “Oggi sulla terra c’è un silenzio grande: Il Signore è morto nella carne ed è disceso a scuotere il regno degli inferi. Va a cercare Adamo, il primo padre, come la pecorella smarrita. Il Signore scende e visita quelli che giacciono nelle tenebre e nell’ombra di morte”. E un inno di Efrem il Siro così canta: “Colui che disse ad Adamo ‘Dove sei?’ è sceso agli inferi dietro a lui, l’ha trovato, l’ha chiamato e gli ha detto: ‘Vieni, tu che sei a mia immagine e somiglianza! Io sono disceso dove tu sei per riportarti alla tua terra promessa!’”. Gesù, disceso agli inferi con la sua morte – una morte diventata “atto”, una morte assunta e vissuta – ha distrutto la morte stessa in un mirabile combattimento, come ricorda anche la liturgia siriaca: “Tu, Signore Gesù, hai combattuto con la morte durante i tre giorni del tuo dimorare nella tomba, hai seminato la gioia e la speranza tra quelli che abitavano gli inferi”.

Così la discesa agli inferi diventa estensione della salvezza a tutto il cosmo, salvezza dell’essere umano nella sua interezza: Cristo scende nel cuore della terra, nel cuore della creazione, nelle zone infernali che abitano ogni uomo. Che ne è, dunque, degli inferi dopo la “visita” del Cristo glorioso? Cirillo di Alessandria afferma che questa predicazione di Cristo agli inferi – di cui parla l’apostolo Pietro: “messo a morte nella carne, ma reso vivente nello Spirito… andò ad annunciare la salvezza agli spiriti che attendevano in prigione” (1Pt 3,18-19) – ha significato la spoliazione dell’inferno: “Subito Cristo, spogliando l’intero inferno e spalancandone le impenetrabili porte agli spiriti dei morti, vi lasciò il diavolo solo!”. Dov’è, o inferno, la tua vittoria?


Il cristiano oggi non dovrebbe dimenticare questo mistero del grande e santo sabato, vero preludio alla Pasqua ma anche lettura della discesa di Cristo nelle regioni infernali che abitano anche ogni cristiano, nonostante il suo desiderio di sequela di Gesù. Chi non riconosce in sé la presenza di questi inferi? Regioni non evangelizzate, territori di incredulità, luoghi dove Dio non c’è e nei quali ognuno di noi nulla può se non invocare la discesa di Cristo perché le evangelizzi, le illumini, le trasformi da regioni di morte assoggettate alla potenza del demonio in humus capace di germinare vita in forza della grazia. Così il sabato santo è come il tempo della gravidanza, è un crescere del tempo verso il parto, verso il trionfo della vita nuova: il suo silenzio non è mutismo ma tempo carico di energie e di vita.

Come non pensare al secolo che ci sta alle spalle come al secolo in cui il sabato santo è stata l’esperienza di molti credenti in Gesù e di altri uomini la cui fede solo Dio conosce e giudica? Nei campi di sterminio sotto il nazismo, nei gulag e nelle prigioni sovietiche, in tanti paesi in cui l’ideologia atea comunista ha ridato martiri alla chiesa, quale profondo sabato santo… Anni fa, in Cina ho incontrato un vescovo di quella chiesa ufficialmente non in comunione con Roma che in latino mi ha detto: “Noi viviamo il sabato santo, ma siamo in attesa della Pasqua: verrà! Dica al Santo Padre che lo amiamo!”. Sabato santo, Dio sembra assente, il male sembra prevalere, il dolore appare senza senso e Dio, dov’è? Sabato santo a volte anche per chi nel suo cammino di fede trova le tenebre, vede vacillare la propria fede, non riesce a nutrire speranza: giorno di insensibilità, in cui ogni fiducia sembra inaccessibile, troppo grande perché la si possa concepire. Sabato santo di molti malati, soprattutto quelli affetti dall’aids, legati a Cristo nella sua vergogna… Ma sabato santo anche come tempo in cui il sangue dei martiri e delle vittime cade come seme a terra per fecondarla in vista di un frutto abbondante, tempo in cui il disfacimento del nostro essere esteriore fa spazio alla crescita del nostro uomo interiore… Ognuno allora potrà dire del suo sabato santo: “Dio veramente era qui accanto a me, ma io non lo sapevo!” (Gen 28,16). Non c’è aurora di Pasqua senza sabato santo.

ENZO BIANCHI
{link_prodotto:id=320}
per approfondire:
SABINO CHIALÀ
{link_prodotto:id=390}

Boa notícia para os pecadores

Sexta feira Santa
Não é a cruz que faz grande quem nela está suspenso, mas é o próprio Cristo que a resgata e que lhe dá sentido, para que todos os homens que conhecem o sofrimento, a vergonha, a maldição ou o aniquilamento, possam encontrá-Lo a seu lado. 

Uma vida oferecida de livre vontade e por amor

Ler mais: Uma vida oferecida de livre vontade e por amor
Quinta feira Santa
Duas acções diversas, duas representações sacramentais, dois sinais que falam da mesma realidade: Jesús dá a sua vida de livre vontade e por amor, é conduzido à morte fazendo-se escravo

Com o entardecer de quinta feira santa tem início o tríduo Pascal, aqueles dias "santos", distintos dos outros em que nós, cristãos, meditamos, celebramos, revivemos o mistério central da nossa fé: Jesús entra na sua paixão, conhece a morte a sepultura e ao terceiro dia é ressuscitado pelo pai na força que é o Espírito Santo. Mas o acontecimento da Paixão deve-se a um acaso ou a um destino de que Jesús estava incumbido? Porque é que Jesús conheceu uma condenação, a tortura e a morte violenta? São questões a que devemos responder se quisermos conhecer em profundidade o sentido da paixão. Mas são os próprios Evangelhos que nos dão estas respostas testemunhando os eventos daqueles dias pascais do ano 30 da nossa Era. Jesús para mostrar aos discípulos que entrava na Paixão assumindo-a como um acto não forçado, nem mesmo pela casualidade dos acontecimentos que lhe eram desfavoráveis, antecipa com um gesto simbólico aquilo que lhe está para suceder revelando assim o significado. Em liberdade, Jesús aceita o fim que se vai desenhando: podia ter fugido, poderia ter evitado aquele teste, pediu mesmo ao Pai que, se fosse possível, o afastasse daquele acontecimento trágico, mas se Ele queria viver em justiça, se queria colocar-se do lado dos justos que, num mundo injusto, são sempre desprezados e presseguidos, se queria continuar solidário com as vítimas, com os cordeiros da história, então devia aceitar aquela condenação e aquela morte até ao fim. Aceitou-a em liberdade para que fosse feita a vontade do Pai: não que o Pai quisesse a sua morte, mas a vontade do Pai pedia que Jesús permanecesse na justiça, na caridade, na solidariedade com as vítimas.  


Mas esta liberdade de Jesús era nutrida e acompanhada também pelo amor: amor pelo Pai, mas também pela verdade e pela justiça; amor pelos Homens. Para que fosse claro que dava a sua vida livremente e por amor - não forçado pelo destino nem por circunstâncias furtuitas - Jesús antecipa com um sinal, o que está para acontecer. À mesa, com os seus discípulos, Jesús executa gestos acompanhados por palavras: o seu corpo é partido e oferecido por todos os Homens, o seu sangue é vertido e dado por todos.  É o sinal definitivo da sua morte eminente, o sacramento de acção de graças, a Eucaristia que os cristãos devem celebrar em sua memória para serem também eles envolvidos naquele gesto de dádiva pelos irmãos e por todos os outros. No final daquele gesto Jesús diz: "Fazei isto em memória de mim!". Até ao seu regresso, por todo o tempo que os cristãos vivam no mundo, entre a morte-ressurreição de Jesús e a sua vinda na glória, é na celebração daquele gesto do seu Mestre e Senhor que os cristãos serão plasmados como discípulos, participarão na vida do próprio Cristo, saberão que Ele, o Senhor, está com Eles até ao fim da História.   


A quinta feira santa não pode senão celebrar este evento que antecipa a Paixão de Jesús, a narração do seu êxodo deste mundo para o Pai. Mas a Igreja, significativamente, na liturgia de Quinta feira Santa, à tarde, mais do que recordar e viver o gesto do seu Senhor como em cada Eucaristia, vive e repete também, um outro gesto de Jesús: o do lava-pés. No quarto Evangelho é recordada "a última ceia de Jesús com os seus", aquela ceia em que foi revelado o traidor, anunciada a negação de Pedro e a fuga de todos os outros discípulos; aquela ceia vivida por ocasião da última Páscoa de Jesús em Jerusalém, antes da sua morte. Contudo, antes de descrever o significado do gesto do pão e do vinho, João descreve o gesto do lava-pés. Porquê esta outra "acção"?! João conhece o episódio da Eucaristia, a Igreja desde há decénios que celebra este sacramento. Porquê, então, a memória desta outra acção? Podemos crer que a escolha feita, neste quarto Evangelho, seja motivada pela urgência vivida pela Igreja no fim do século I: a celebração eucarística não pode ser um ritual desconexo de uma prática coerente, de agape, de amor e serviço aos irmãos, uma vez que é este mesmo o seu significado: dar a vida pelos irmãos!

 


O evangelista quer assim ritualizar a mensagem da Eucaristia, recordando que ou ela é serviço recíproco, dom da vida pelo outro, amor até ao fim, ou então é apenas um ritual que pertence ao "quadro" deste mundo. Podemos dizer que a intenção de João é que o sacramento do altar seja lido e vivido sempre como o sacramento dos Irmãos. A celebração eucarística com o pão partido e o vinho oferecido e o serviço concreto, quotidiano ao Irmão evocam-se mútuamente, como as duas faces de participação no mistério Pascal de Cristo. O gesto de Jesús, contado lentamente, como que em "câmara lenta", para que fique bem impresso na mente dos discípulos de todos os tempos: Jesús tirou o manto, tomou uma toalha, atou-a à cintura, deitou a água na bacia, começou a lavar os pés, enxugou-os, colocou o manto.... são verbos de acção que acentuam a realidade, a plasticidade da cena. É um gesto que Jesús faz conscientemente: Jesús, o Kyrios, o Senhor, lava os pés aos discípulos. Gesto incomum, paradoxal, que inverte os papéis; gesto escandaloso, como testemunha a reacção de Pedro! Contudo, mesmo assim, Jesús cumpre-o, "anuncia" Deus na medida em que faz de Deus a "boa notícia" para todos nós.

Duas acções diversas, duas representações sacramentais, dois sinais que falam da mesma realidade: Jesús dá a sua vida de livre vontade e por amor, é conduzido à morte fazendo-se escravo. Por isso, como no gesto eucarístico, também no gesto de lava-pés, dá a seguinte indicação: "Ora, se Eu, o Senhor e o Mestre, vos lavei os pés, também vós vos deveis lavar os pés uns aos outros." (Jo 13, 14). E a igreja, se deseja ser Igreja do Senhor, o mesmo deve fazer em obediência ao seu mandato: partir o pão, oferecer o vinho, lavar os pés na assembleia dos crentes e na história dos Homens.

ENZO BIANCHI
{link_prodotto:id=320}

A imersão no humano

Ler mais: A imersão no humano
As festas cristãs
A festa da imersão de Jesus é para nós memória de uma imersão que está no princípio da nossa vida cristã - o nosso batismo - e é, ao mesmo tempo, memória da voz de Deus dirigida a cada um de nós: "Tu és meu filho!"

Battesimo del Signore

Giovanni il Battezzatore ha iniziato la propria predicazione con un grido: “Convertitevi, perché il regno dei cieli si è avvicinato!”, ed ecco che a questo suo invito aderiscono molti giudei che, avendo deciso nel loro cuore di cambiare mentalità e comportamento e di produrre frutti di penitenza, si fanno immergere da Giovanni nel fiume Giordano. Giovanni è esigente: non basta il gesto dell’immersione per trovare salvezza di fronte al giudizio imminente, non è neppure sufficiente vantare la propria identità di figli di Abramo. No, occorre un modo di vivere che mostri la volontà di non sottostare più all’ingiustizia, di smettere di essere peccatori: allora i peccati saranno perdonati.

Chi crede e accoglie questa predicazione di Giovanni? Non i sacerdoti e gli officianti del tempio, non gli scribi conoscitori della legge, ma donne e uomini visibilmente in stato di peccato, raffigurati dal binomio “prostitute e pubblicani” (cf. Mt 21,32). Visibilmente potremmo dunque immaginarci una fila di persone “segnate a dito”, che vanno al Giordano dal Battista: ebbene, in quella fila di peccatori si mette anche Gesù! Azione scandalosa, persino per gli stessi cristiani delle prime comunità, alcuni dei quali cercheranno di minimizzare l’evento fino quasi a dimenticarlo, ma il Vangelo, anzi, tutti e quattro i Vangeli ce lo testimoniano con chiarezza: Gesù si associa ai peccatori, si mostra tra di loro e come uno di loro nel chiedere a Giovanni l’immersione. Secondo l’evangelista Matteo, il Battista vorrebbe impedire questo gesto di Gesù e vi obietta con risolutezza, ma Gesù con altrettanta determinazione gli chiede: “Lascia fare, per ora!”, invitandolo a compiere insieme la giustizia di Dio, ad esprimere – Giovanni e Gesù – la volontà di Dio e non la loro. Sì, la giustizia di Dio non è la giustizia dell’uomo, anche se quest’ultima ne è un frutto: la giustizia di Dio, infatti, è quella particolare coerenza con cui Dio intende realizzare la sua misericordia verso i peccatori, il suo disegno universale di salvezza.


L’episodio del battesimo è la prima occasione in cui Gesù, uomo maturo, entra sulla pubblica scena: non è protagonista né di miracoli, né di un insegnamento, ma è un uomo che si associa agli uomini peccatori, un discepolo che si abbassa di fronte al maestro: Gesù inizia il suo ministero in solidarietà con l’umanità peccatrice, in un movimento di umiltà. Non si presenta come un salvatore potente, non si mostra con azioni portentose, ma sta in compagnia dei peccatori che tentano di convertirsi: quello intrapreso da Gesù fin dai primi passi è un cammino di abbassamento, di svuotamento, di umiliazione.

Ora, proprio nel momento dell’immersione di Gesù in quell’acqua carica dei peccati dell’umanità, la voce del Padre si fa udire: “Tu sei mio figlio, l’amato: in te provo grande gioia!”. Dio voleva vedere Gesù proprio così, lì in mezzo ai peccatori, e proprio in quell’atto di abbassamento voleva riempirlo di Spirito santo. E così è avvenuto. I Vangeli ci dicono che Gesù iniziò la sua vita matura narrando Dio, parlando e operando in nome suo: per questo è stato unto, consacrato con l’unzione dello Spirito santo. Proprio nel battesimo di Gesù ci è dato di cogliere l’unità della salvezza in Dio che opera attraverso il Figlio Gesù conferendogli tutta la potenza dello Spirito santo.


Ma questa festa dell’immersione di Gesù è per noi anche memoria di un’immersione che sta all’inizio della nostra vita cristiana – il nostro battesimo – e, al contempo memoria della voce di Dio rivolta a ciascuno di noi: “Tu sei mio figlio!”. Ognuno di noi è figlio di Dio, ognuno è luogo della grande gioia di Dio se resta in cammino di conversione, di ritorno a lui, ognuno di noi è luogo su cui scende e riposa lo Spirito santo se sa invocarlo e apprestare tutto per accoglierlo. E’ così che possiamo sentirci figli di Dio, capaci di gridargli “Abbà, papà amato”, capaci di respirare lo Spirito santo.

Il battesimo di Gesù rivela che lo Spirito santo è sceso su di lui e lo abitava con le sue energie: energie apparentemente deboli, inermi, ma più potenti di ogni altra forza, sia di morte che di vita, energie divine, non creaturali. E sono proprio queste energie che abitano ogni cristiano dal giorno del suo battesimo: energie nascoste che tuttavia non cessano di mostrarsi efficaci nella sua vita, energie più forti del peccato e, come vedremo un giorno, più forti anche della morte.

Enzo Bianchi
{link_prodotto:id=320}