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Comentários às leituras dos domingos e dos dias festivos

III Domingo de Páscoa

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8 Maio 2011
Reflexões sobre as leituras
de
LUCIANO MANCIARDI
O estrangeiro que nos visita, que cruza os nossos caminhos, encontra muitas vezes, analogamente, a nossa desconfiança, a nossa superioridade, o nosso medo, o nosso ódio. Mas, nós tememo-lo de facto, porque ele nos conduz a um confronto com nós mesmos.

Domingo 8 Maio 2011

Ano A

Act 2,14.22-33; Sal 15; 1Pe 1,17-21; Lc 24,13-35

L’annuncio pasquale risuona in modo diverso nei testi biblici odierni: nel resoconto scettico dei due di Emmaus (“Egli è vivente”: Lc 24,23), nell’annuncio vigoroso della predicazione di Pietro (“Questo Gesù Dio l’ha risuscitato”: At 2,32), nella comunicazione di fede che Pietro indirizza alle comunità destinatarie della sua prima lettera (“Dio l’ha risuscitato dai morti”: 1Pt 1,21).

Il Risorto manifesta la sua presenza negli apostoli che sono divenuti suoi testimoni e che annunciandolo lo rendono presente tra gli uomini (cf. At 2,32); nella fede e nella speranza che abitano i credenti (cf. 1Pt 1,21); nella riunione comunitaria e liturgica degli Undici a Gerusalemme (cf. Lc 24,33-35); nella Parola spiegata e nel Pane condiviso (cf. Lc 24,25-32).

Il tema del cammino è presente nelle tre letture. La resurrezione di Cristo è profetizzata dal mutamento attuato da Dio del cammino di morte del fedele in cammino di vita (Salmo 16 citato in At 2,25-28); la fede nel Cristo risorto nasce nei due di Emmaus durante un cammino che non è solo geografico, ma spirituale e che attraversa la disillusione e il dubbio, il vuoto e lo scetticismo (vangelo); la fede nel Cristo risorto dà origine a un tipo di presenza cristiana nel mondo descritta come paroikía, cammino nel timore e nella speranza, cammino come in terra straniera (II lettura).


 

Per i due di Emmaus l’incontro con il Risorto segna il passaggio dalla de-missione alla missione e diviene la storia di una ri-creazione. Le loro orecchie ascoltano la spiegazione della Scrittura, il loro cuore viene rianimato e scaldato, i loro occhi si aprono, la loro parola ritrova capacità di comunicazione e di comunione, le loro persone ridiventano capaci di relazione: insistono perché Gesù, che prima avevano trattato con sufficienza, si fermi con loro e sieda a tavola con loro.. Essi ritrovano il coraggio della relazione e della speranza. E trovano la forza di ritornare alla comunità che avevano abbandonato. Sì, a volte è difficile rimanere nella chiesa e la tentazione dell’abbandono si può far sentire, per i più svariati motivi. Ma il motivo unico che rende vivibile la chiesa è la fede nel Risorto: grazie a essa è possibile non solo perseverare, ma fare della perseveranza un’esperienza di resurrezione, una partecipazione spirituale alla vita del Risorto. La chiesa, pur con le sue povertà e i suoi peccati, è il corpo di Cristo, il reale luogo della fraternità che impedisce la riduzione della fede a docetismo o a gnosi.
La presenza del Risorto è invisibile e silenziosa. Essa si rende visibile nel volto di uno straniero, di un pellegrino che diviene improvvisato compagno di strada, e parla attraverso le parole della Scrittura. La Bibbia e l’altro uomo, la Parola di Dio contenuta nelle Scritture e il volto dell’altro, soprattutto dello straniero e del povero, sono luoghi per eccellenza in cui la presenza del Risorto può incontrarci ricordandoci il comando evangelico: ama Dio e il tuo prossimo.

Il forestiero sconosciuto diventa il portatore della rivelazione. Lo straniero incontrato da Cleopa e dall’altro discepolo anonimo non viene riconosciuto e deve scontrarsi con la loro diffidenza e sufficienza, salvo rivelarsi poi l’inviato di Dio. Il riconoscimento dello straniero passa attraverso un lavoro di memoria che restituisce i due discepoli alla loro storia. Più che sconosciuto, era non-riconosciuto. Riconosciutolo, non lo vedono più, ma sono rinviati a se stessi e possono riannodare i fili della loro storia e ricompattare la loro comunità. O estrangeiro que nos visita, que cruza os nossos caminhos, encontra muitas vezes, analogamente, a nossa desconfiança, a nossa superioridade, o nosso medo, o nosso ódio. Mas, na verdade, nós tememo-lo porque ele nos conduz a um confronto com nós mesmos. Lo straniero fa di noi degli stranieri: lui è straniero per me e io sono straniero per lui. Egli rivela, personalizzandola con la sua diversità evidente, una dimensione nascosta, e temibile, di me. Riconoscere lui (senza appropriarsi di lui) significa anche riconoscere noi stessi (senza disappropriarci di noi). Allora l’incontro può divenire apparizione.

LUCIANO MANICARDI

Comunità di Bose
Eucaristia e Parola
Testi per le celebrazioni eucaristiche - Anno A
© 2010 Vita e Pensiero

Páscoa - Missa Vespertina

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Domingo 24 Abril 2011
Reflexões sobre as leituras
de
LUCIANO MANICARDI
O caminho de conversão, isto é, de regresso a Jerusalém, dos dois amigos de Emaús, contém os elementos essenciais para um itinerário de conversão

domenica 24 aprile 2011

Anno A
Lc 24,13-35

Gli eventi narrati nel nostro brano evangelico sono collocati da Luca nel giorno della resurrezione. Cioè, il primo giorno dopo il sabato, il primo giorno della settimana, il “giorno del Signore” (Ap 1,10), quel giorno che diventerà nella tradizione cristiana un tempo sacramentale memoria della resurrezione di Gesù. La resurrezione, le apparizioni del Risorto, il dono dello Spirito sono situati dal Nuovo Testamento in questo giorno, la domenica, in cui i cristiani si riuniscono nell’assemblea eucaristica per celebrare la pasqua settimanale. Giorno non rimpiazzabile o sostituibile con altri (per esempio il giovedì in cui il Signore ha consumato l’ultima cena), la domenica è memoria dell’evento pasquale. Custodire e trasmettere la fede significa anche, e in particolare, santificare il tempo facendo concretamente della domenica il giorno del Signore.

L’incontro con il Risorto si manifesta, per i due discepoli di Emmaus, come passaggio dalla divisione alla comunione. Divisione anzitutto rispetto alla comunità gerosolimitana da cui si allontanano, ma poi divisione tra di loro, come appare dalla discussione che li accalora e che sfocia quasi in litigio. Il verbo usato da Luca (syzeteîn: v. 15) appare altrove per indicare un litigio, una discussione cieca (cf. Lc 22,23), un’aperta contrapposizione (cf. At 6,9; 9,29). La pedagogia di Gesù conduce i due, attraverso la spiegazione cristologica delle Scritture (v. 27) e la fractio panis (v. 30), a ritrovare unità in se stessi (il fuoco che arde nel loro petto), tra di loro (il loro parlare diviene una comunicazione della loro esperienza spirituale: v. 32) e con la loro comunità a cui fanno prontamente ritorno (vv. 33-35).


 

La spiegazione delle Scritture fatta da Gesù non è dettagliata: non sappiamo che cosa Gesù abbia detto. Ma il lettore dell’opera lucana potrà avere tale spiegazione dalla bocca degli apostoli se leggerà gli Atti degli apostoli dove la predicazione apostolica altro non sarà che esegesi spirituale e cristologica delle Scritture, in particolare delle profezie veterotestamentarie (cf. At 8,5 ss.). La chiesa è chiamata a fare ciò che Gesù stesso ha fatto. La predicazione ecclesiale delle Scritture ha il compito di annunciare l’evento pasquale e di guidare a Cristo.

L’apertura degli occhi dei due di Emmaus appare come una rinascita, un’illuminazione, da accostarsi all’apertura del cuore operata dal Signore su Lidia mentre ascoltava la predicazione di Paolo (cf. At 16,14) e all’apertura della mente attuata dal Risorto sugli Undici a Gerusalemme con la spiegazione delle Scritture alla luce dell’evento pasquale (cf. Lc 24,45). Questa apertura di ciò che prima era chiuso è manifestazione di resurrezione ed è dovuta all’apertura della Scrittura che il Signore stesso compie. Dice il salmista: “L’apertura delle tue parole illumina, dà intelligenza ai semplici” (Sal 119,130). La spiegazione delle Scritture nello Spirito santo attua la resurrezione a parola vivente della parola biblica e la ricreazione del cuore e della mente dell’ascoltatore. Nella chiesa occorrerebbe avere coscienza che proclamare e spiegare le Scritture significa inserirsi nella dinamica pasquale: ogni proclamazione liturgica della Parola dovrebbe essere esperienza di resurrezione grazie allo Spirito che guida chi annuncia e proclama la Parola e che interiorizza la presenza del Signore nel cuore di chi ascolta. Così la chiesa nel suo insieme viene aperta dalla Parola e dallo Spirito ad accogliere il novum che il Signore opera nella storia e fa essa stessa esperienza di resurrezione passando dalle sue paure e chiusure al coraggio di una parola ispirata nella sua missione.

Il cammino di conversione, cioè di ritorno a Gerusalemme dei due di Emmaus, contiene elementi essenziali per ogni itinerario di conversione. Anzitutto il rispetto, nel senso etimologico di retro aspicere, guardare indietro vedendo il passato in modo rinnovato; quindi il coraggio di riconoscere gli errori; infine l’umiltà di cambiare strada e ritornare a Gerusalemme aggregandosi nuovamente alla comunità da cui ci si era allontanati.

LUCIANO MANICARDI

Comunità di Bose
Eucaristia e Parola
Testi per le celebrazioni eucaristiche - Anno A
© 2010 Vita e Pensiero

 

Páscoa de Ressurreição

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Domingo 24 Abril 2011
Reflexões sobre as leituras
de
LUCIANO MANICARDI
A fé na ressurreição, que está no centro da fé cristã, não coincide com uma simples confiança na vida, mas acredita na vida que nasce da morte

Domingo 24 Abril 2011

Ano A
Act 10,34.37-43; Sal 117; Col 3,1-4; Jo 20,1-9

O acontecimento da ressurreição de Jesús está presente nas três leituras como narração (evangelho), anúncio (1ª leitura) e  parenesi (2ª leitura). A narração mostra a evolução da fé Pacal, o seu carácter dinâmico que comporta entrar no mistério divino através das evidências de morte compostas pelas ligaduras e pelo sudário que envolviam o corpo e pelo sepulcro (evangelho). O anúncio revela o carácter dinâmico da história da salvação que na resurreição de Jesús encontra um ponto culminante, mas não conclusivo: não fecha a história, antes a orienta de forma renovada. Ora, ao anúncio profético sucede o anúncio e o testemunho apostólico nos tempos da Igreja (1ª leitura). A parenesi mostra o carácter dinâmico da vida do baptizado: com o baptismo o cristão é envolvido na morte e ressurreição de Cristo, pelo que o autor da carta aos Colossenses pode afirmar que ele já ressuscitou com Cristo (cf. Col 3,1). Contudo esta afirmação não coloca o baptizado num ponto de chegada, antes numa procura incessante, num dinamismo espiritual contínuo, sob o signo da graça do dom recebido. A "procura das coisas do céu" por parte do cristão indica que ele é chamado a tornar-se aquilo que já obteve pela graça: a fé no ressuscitado permite ao cristão viver hoje a ressurreição, viver na história como ressuscitado com Cristo (2ª leitura).

O Evangelho apresenta, com as três personagens, um itinerário de fé que é também um itinerário do olhar: de um olhar que tem por objecto a pedra removida do sepulcro, que faz supor que o corpo tenha sido roubado (vv. 1-2), as ligaduras (v. 5), depois as ligaduras e o sudário (20,6-7), até um olhar que não se fixa em nenhum objecto (v. 8), que vê e repousa sobre a fé ou pelo meno sobre um princípio de fé que deverá ser completado com a escuta das Escrituras (v. 9). Um olhar que vê o invisível. A fé cristã confessa e crê na ressurreição vendo sinais de morte. Mas não são estes sinais que nos introduzem na fé na ressurreição, mas sim a inteligência do amor (o “discípulo amado”) e a fé nas Escrituras. Com efeito, no discípulo amado que vê e crê (ou “começou a crer”)”, está a fé que nasce do amor, fides ex charitate. Mas nesta fé está também um "ainda não" que exige plenitude e que diz respeito ao compreender as Escrituras (v. 9).


 

È la fede nella Parola del Signore e nel suo amore che consente di iniziare e continuare a credere la resurrezione in mezzo agli innumerevoli segni di morte che traversano la nostra vita e il nostro mondo. E forse, vivere la fede come fede di essere amati dal Signore, come fede nel suo amore per noi, è alla base della fede nella nostra resurrezione: il suo amore per noi non termina con la nostra morte. Questa fede, che interpreta il vuoto della tomba, può anche soccorrere la nostra vita nel momento del terrore del vuoto di amore e della paura dell’abbandono che ci fa abitare nella morte. Dietro al discepolo amato vi è infatti ogni discepolo di Gesù nella storia chiamato a entrare nella fede del Dio che lomo ama.

L’atto di entrare nel sepolcro da parte di Pietro e poi del discepolo amato (vv. 6.8) ha una valenza simbolica. Noi entriamo, durante la nostra vita, in numerosi luoghi di morte (lutti, separazioni, abbandoni, fine di relazioni e di amicizie, incomunicabilità) e lasciamo anche entrare la morte in noi, divenendo noi un luogo di morte per gli altri (chiusura egoistica, arroganza, abuso, violenza, manipolazione, indifferenza). La fede nella resurrezione, che è al cuore della fede cristiana, non coincide con una semplice fiducia nella vita, ma crede la vita che nasce dalla morte grazie alla forza dell’amore di Cristo. Essa consente di entrare nelle situazioni di morte guardando oltre la morte e vivendo la resurrezione, ovvero amando o cercando di amare come Cristo ha amato e, soprattutto, credendo al suo amore per noi.

LUCIANO MANICARDI

Comunità di Bose
Eucaristia e Parola
Testi per le celebrazioni eucaristiche - Anno A
© 2010 Vita e Pensiero

Sexta feira Santa

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22 Abril 2011
Reflexões sobre as leituras
de
LUCIANO MANICARDI
A Paixão e a morte de Jesús podem ser vistas como mistério de obediência. O servo anunciado por Isaías submete-se à violência daqueles que o conduzem à morte, permanecendo fiel ao seu Senhor (cf Is 50,7);

venerdì 22 aprile 2011

Anno A
Is 52,13-53,12; Sal 30; Eb 4,14-16; 5,7-9; Gv 18,1-19,42

La passione e la morte di Gesù possono essere colte come mistero di obbedienza. Il Servo annunciato da Isaia si sottomette alle violenze di coloro che lo conducono a morte restando fedelmente attaccato al suo Signore (cf. Is 50,7); sigillo di questa forza e di questa obbedienza è il suo silenzio (I lettura). L’evento pasquale, fonte di salvezza universale, è visto come mistero di obbedienza del Figlio al Padre che gli consente di affrontare sofferenze e morte divenendo causa di salvezza per quanti obbediranno a lui. Questa obbedienza è sostenuta dalla preghiera intensa e drammatica del Figlio (II lettura). La passione e morte viene letta da Giovanni come compimento, come obbedienza alle Scritture che contengono la volontà di Dio, come compimento dell’amore per Dio e per gli uomini e della missione ricevuta dal Padre. L’obbedienza di Gesù traspare dalla sua coscienza lucida degli eventi (Gv 18,4; 19,28), dalla sua parola autorevole (18,8.19-23.37; 19,11), dal suo tacere (19,9).

In Gv 18,1-11 non siamo di fronte all’arresto di Gesù, di cui si parla solo a partire dal v. 12, ma al confronto-scontro tra Gesù (con i suoi discepoli), da una parte, e Giuda (con i soldati), dall’altra. La scena avviene in un giardino (18,1; cf. anche 19,41), come il primo scontro tra bene e male avvenne nel giardino dell’in-principio. Entrare nella passione è entrare in una lotta: Gesù vi entra con la forza dell’amore (Gv 13,1) e dell’obbedienza al Padre (19,11).

Recandosi nel giardino che anche Giuda conosceva bene (18,2), Gesù sembra facilitare il compito del traditore: Gesù si sottomette alla libertà di Giuda, ma conserva la sua libertà di amare, di amare anche Giuda, anche il suo nemico. Gesù ama i suoi, tutti i suoi, fino alla fine.

La forza dell’obbedienza di Gesù traspare dalle sue parole che atterriscono i suoi avversari e che echeggiano la rivelazione del nome divino: “Io sono” (18,5.6.8; cf. Es 3,14; Is 43,10). L’intima comunione di Gesù con il Padre e il suo obbedire alla parola del Padre, espresse durante tutto il quarto vangelo, sono il fondamento dell’autorevolezza e della forza che emanano dall’umanità di Gesù, del timore che essa incute e che i suoi avversari non sanno sostenere (18,6).


 

Di fronte a Gesù si svela il realismo cinico del sommo sacerdote Caifa (18,14; cf. 11,49-50), il rifiuto della responsabilità da parte di Pilato che sacrifica la convinzione di innocenza di Gesù alla salvaguardia del proprio potere (18,38; 19,4.12), il ricorso al ricatto nei confronti di Pilato dei capi giudei che vogliono a tutti i costi la condanna di Gesù (19,12), il carattere passivo della folla, della massa, esposta alle manipolazioni e alle strumentalizzazioni di chi ha un potere (politico o religioso) da conservare. Sorge la domanda: chi è veramente soggetto in questa vicenda? Giovanni lascia che la figura di Gesù si stagli con forza e autorevolezza signoriali.

La proclamazione della regalità di Gesù sul cartiglio della croce riveste, nella teologia giovannea, il valore di una profezia: quali che siano le intenzioni con cui è stato scritto, ciò che è scritto (e lo scritto rimane!) afferma la verità teologica: Gesù è veramente re e la croce è il trono regale. La croce parla. E proclama che quel Gesù che proviene da Nazaret è il re dei giudei. Dagli inizi fino alla fine, da Nazaret (“Da Nazaret può mai venire qualcosa di buono?”: Gv 1,46) fino alla croce (e alla dimensione di ignominia che essa comportava) la vicenda di Gesù narra il realizzarsi della volontà di Dio e il manifestarsi della sua gloria in modi e forme che spiazzano la razionalità e la sapienza mondane e religiose. È lo scandalo dell’incarnazione, del Verbo fatto carne. Ed è lo scandalo della croce, del Messia crocifisso.

Contemplare l’Innalzato sulla croce comporta una dimensione ecclesiologica inerente, in particolare, il dono e il compito dell’unità della chiesa. Scrive Agostino, commentando Gv 19,23-24: “Le vesti di Cristo divise in quattro parti rappresentano la chiesa disseminata ai quattro angoli del mondo. La tunica tirata a sorte simboleggia l’unità delle diverse parti grazie al legame della carità”.

LUCIANO MANICARDI

Comunità di Bose
Eucaristia e Parola
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