Cecità
12 settembre 2025
Dal Vangelo secondo Luca - Lc 6,39-42 (Lezionario di Bose)
In quel tempo, Gesù 39disse ai suoi discepoli una parabola: «Può forse un cieco guidare un altro cieco? Non cadranno tutti e due in un fosso? 40Un discepolo non è più del maestro; ma ognuno, che sia ben preparato, sarà come il suo maestro.
41Perché guardi la pagliuzza che è nell'occhio del tuo fratello e non ti accorgi della trave che è nel tuo occhio? 42Come puoi dire al tuo fratello: «Fratello, lascia che tolga la pagliuzza che è nel tuo occhio», mentre tu stesso non vedi la trave che è nel tuo occhio? Ipocrita! Togli prima la trave dal tuo occhio e allora ci vedrai bene per togliere la pagliuzza dall'occhio del tuo fratello».
«La cecità stava dilagando, non come una marea repentina che tutto inondasse e spingesse avanti, ma come un’infiltrazione insidiosa di mille e uno rigagnoli inquietanti che, dopo aver inzuppato lentamente la terra, all’improvviso la sommergono completamente», scriveva José Saramago nel suo romanzo Cecità, e più oltre concludeva: «ormai è chiaro, nessuno potrà salvarsi, la cecità è anche questo, vivere in un mondo dove non ci sia più speranza».
Anche l’evangelista Luca raccoglie alcune parole di Gesù che si condensano intorno al tema dell’occhio e della vista, due brevi parabole “oftalmiche”.
Ecco allora la scena di un cieco che pretende di guidare un altro cieco, cioè di qualcuno che sa vedere il minimo difetto, la minima mancanza, la minima incrinatura nella vita dell’altro, mentre non è in grado di scorgere in sé il limite, il vuoto o l’errore che lo abitano. Gesù denuncia il rischio di chi crede di essere un illuminato nel discernimento, di saper conoscere il cuore dell’altro e di poter giudicare l’esistenza dell’altro, mentre in realtà è incapace di vedere la realtà alla luce della misericordia. Poco prima, infatti, il Maestro aveva detto: «Siate misericordiosi come il Padre vostro è misericordioso. Non giudicate e non sarete giudicati; non condannate e non sarete condannati; perdonate e sarete perdonati!» (6,36-37).
«Chi crede di essere illuminato, chi ritiene che ci sia una via superiore alla misericordia è un cieco. Ora “cieco” non vuol dire “non vedente”; vuol dire che non sa da dove viene e dove va, non conosce né sé, né Dio, né gli altri, perché Dio è misericordia, perché noi siamo come tutti gli altri. E se vuole tentare vie superiori, è semplicemente un cieco che guida altri ciechi che cercano ancora vie superiori alla misericordia. E cosa accade? Cadono nella fossa, nella morte, perché la via della vita è la maternità di Dio» (F. Clerici).
La speranza di salvarsi dalla cecità del giudizio riposa dunque nella conversione dello sguardo: devo innanzitutto vegliare su di me e imparare ad “accorgermi” degli ostacoli che sono in me e che mi impediscono di vedere nitidamente me stesso, innanzitutto, e poi l’altro: così diventerò capace non tanto di analizzare la dimensione, la natura o la qualità dell’impedimento che limita la vista e la vita dell’altro, quanto piuttosto di aiutarlo a riacquistare la libertà del suo campo visivo.
Se ci chiniamo sull’altro, non è per fargli percepire la sua bassezza in un confronto schiacciante con la nostra presunta “altezza”, ma è solo per aiutarlo a rialzarsi e a riprendere il suo cammino.
Per questo possiamo pregare con le parole attribuite a Efrem il Siro:
Signore della mia vita,
allontana da me lo spirito di pigrizia, di scoraggiamento,
di dominio, di vane parole.
Concedi a me, tuo servo,
uno spirito di castità, di umiltà, di pazienza e d’amore.
Sì, mio Signore e mio Re, rendimi capace di vedere i miei peccati
e di non giudicare il mio fratello,
tu che sei benedetto nei secoli dei secoli.
un fratello di Bose